venerdì 31 gennaio 2020

10° anno di "LIBRISOTTOIPORTICI"

Domenica 2 Febbraio torna LIBRISOTTOIPORTICI
e sarà la decima edizione, e sarà ricca di sorprese!!!



Per la prima manifestazione queste sono le proposte:



giovedì 30 gennaio 2020

Indovina l'autore 2°

In quest'altro libro invece, lo stesso autore del post precedente, mi ricorda Jules Verne (1828-1905).

Il Centauro che procedeva velocissimo, aiutato anche dalla corrente del Gulf-Stream che aveva in favore e che in quel luogo percorreva tre miglia e mezzo all'ora, in breve si trovò nelle acque del mulino numero sette.
Come Holker aveva già detto, era un enorme galleggiante in lamiera d'acciaio di forma circolare, con una circonferenza di quattrocento metri; fornito nel centro di quattro immense ruote che la corrente faceva girare con notevole velocità.



Fra le ruote s'innalzavano quattro abitazioni, pure in ferro, ad un solo piano, munite di parafulmini; destinate una come magazzino dei viveri e le altre ai guardiani.
Quattro gradinate mettevano sul mare, fornite ognuna d'una gru sostenente una scialuppa.
I guardiani, una dozzina di persone, vedendo avvicinarsi il mutilato vascello volante, si erano affrettati a chiedere premurosamente se avevano bisogno di soccorsi.
Quando ebbero ricevuta una risposta negativa invitarono i viaggiatori a salire sull'isola a visitare le loro abitazioni, ed il macchinario destinato a trasmettere in Inghilterra la forza prodotta dalle gigantesche ruote. 



La minuscola isola era tenuta con pulizia scrupolosa. Vi erano dei piccoli viali fiancheggiati da casse di ferro piene di terra, entro cui maturavano cavoli, zucche, carote ed altri vegetali mangiabili, o dove finivano di seccare, appesi a delle funi, grossi pesci pescati nella corrente.

Indovinato di chi si tratta? NOOOO!!!
Peccato, ve lo svelo nel prossimo post (forse).

mercoledì 29 gennaio 2020

Indovina l'autore 1°

Oggi vi propongo un "INDOVINA CHI... ha scritto questo libro?" !
Va be', sono poche righe ma anche se vi trascrivessi un capitolo intero, a meno che non abbiate già avuto modo di leggerlo, difficilmente lo indovinereste. Io personalmente non conoscevo questo lato "comico" dell'autore (è anche vero che io con la mia lacunosa ignoranza non faccio testo).
Personalmente questo libro, pubblicato per la prima volta nel 1909, mi ha ricordato il Jerome K. di Tre uomini in barca... (1889) e a voi?
Ho accompagnato la breve trascrizione con immagini del pittore Toulouse-Lautrec che mi pareva lo accompagnassero bene.



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Pochi momenti dopo tutta la famiglia artistica era in grandi faccende. La notizia si era sparsa con la rapidità della folgore in tutti gli angoli della soffitta e persino Pumietto aveva preso parte all'allegria universale.



Quella scimmietta in quarantaquattresimo, grossa poco più di un porcellino d'India, graziosissima e altrettanto birbona, come avesse compreso che i suoi padroni stavano per abbandonarsi a un'orgia pantagruelica, faceva un tal fracasso da far impallidire perfino le statue di gesso della passeggiata archeologica. Ferrol, da uomo previdente, si era affrettato a mettere in salvo la bottiglia di rigatino, perché dopo il moka non mancassero i liquori.
Quell'indiavolata scimmietta era capace di mandarla all'aria coi suoi salti acrobatici.



Quintino, nominato già da tre settimane grande cuoco della famiglia artistica ad unanimità di voti, si era cacciato in testa un mostruoso berretto di carta e si era cinto un grembiale nuovissimo, decorato di quindici buchi.
Armato d'uno sciabolone che gli serviva da coltello, spaccava costolette, pestava bistecche e sezionava con un ardore ammirabile, pomodori. Figuratevi che ne aveva comperato un mezzo cesto.



Spartaco e Ferrol, dopo una viva disputa colla serva del piano inferiore, avevano preparato la tavola, provvedendola perfino di sedie, lusso a cui non erano abituati i bohèmiens. Io mi ero occupato della stufa. La famosa sedia stile Luigi XIV, completamente sventrata, crepitava già allegramente, spandendo un calore benefico, in compagnia di una vecchia cornice, opera di non so quale celebre intagliatore.
Già dei profumi appetitosi invadevano tutti i recessi della soffitta, quando udimmo bussare alla porta.
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sabato 25 gennaio 2020

Il personaggio di oggi è un... FOLLETTO

Oggi vi trascrivo una curiosità:
Da ELFI, GNOMI, NANI e FOLLETTI di Giorgio Schottler 1995 
Vi presento...   
Ana Sosana    

Diffuso nella provincia di Bergamo, è uno dei tanti folletti italiani, di cui si è però persa ogni traccia.
Si racconta che era solito nascondersi sotto i comignoli e che si divertiva a gettare rametti e foglie secche nelle pentole dove cuoceva la polenta o dove bolliva la minestra.
In provincia di Brescia questo genere di folletti è chiamato anche Ana Sonana.  


             

mercoledì 22 gennaio 2020

L'importanza del colore... dei JEANS

Il libro di cui oggi vi propongo la lettura è davvero particolare, il suo autore è
Ugo Volli edito dalla Lupetti & Co. nel 1991 si tratta di
JEANS

IL COLORE
..... Affascinante è la storia del colore dei blue jeans, quell'indaco che applicato ai tessuti all'inizio è blu intenso e poi stinge fino all'azzurro pallido. Questo colore costituisce il secondo elemento costitutivo del nostro oggetto e certamente una ragione non indifferente del suo successo. All'inizio i jeans non erano tutti blu, anzi il primo mitico paio di pantaloni fabbricato da Levi Strauss nel 1853 dovrebbe essere stato in tela da tenda naturale, cioè bianco o marrone. E ancora nei primi anni del Novecento.



"Bib overalls" e "apron overalls" [la denominazione di quel periodo per i nostri jeans] di colore bianco erano consigliati [dalle riviste di vendita per corrispondenza] per gli imbianchini e blu per minatori, falegnami, droghieri, meccanici, negozianti, postini, ferrovieri. Anche le maestranze impegnate nel 1906 nella costruzione del canale di Panama li utilizzavano come abiti da lavoro. "Overalls" blu venivano consigliati per caw-boys e lavoratori dei cantieri, a righe e a quadretti bianchi e neri o bianchi e blu invece per taglialegna, agricoltori, tecnici, tele di color bianco per camerieri, cuochi, baristi, macellai e tappezzieri.



Insomma, vale la pena di interrogarsi sui significati del blu, e sulle ragioni della sua prevalenza nella colorazione dei jeans (che forse sono la stessa cosa).... 
"Il blu non ha storia", è l'inizio antifrastico di un saggio dedicato proprio alla storia di questo colore da parte di un importante studioso di storia sociale, Michel Pastoureau; e in effetti a noi pare che il blu sia qualcosa di tutt'affatto naturale, il colore del cielo e del mare, quello di certi fiori o di certi occhi, su cui c'è poco da sofisticare.
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lunedì 20 gennaio 2020

Ripassare la Storia attraverso l'Arte

Oggi vi presento un'altra serie di libri. Questi sono dedicati ai luoghi d'arte:
Documenti d'arte ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI 1983.
A cura di Stefano Maggi     Roma, i Fori



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Le funzioni del Foro
Con certezza, comunque, possiamo affermare che già a quei tempi si specializzarono le due principali funzioni del foro, quella economico-commerciale e quella politico-sacrale, in due aree distinte: il mercato a sud, il Comitium a nord, proprio ai piedi del Campidoglio.
Un indizio delle funzioni commerciali è da vedersi nelle numerose tabernae, veri e propri negozi, sorte accanto agli edifici più importanti in epoca repubblicana ed attive ancora in gran numero fino almeno alla prima età imperiale.



Il Comitium rappresentava, come suggerisce il termine, il luogo di riunione dell'assemblea cittadina: in periodo regio vi si svolgevano, infatti, le riunioni delle curie, le trenta sezioni in cui erano divise le tre tribù gentilizie dei Ramnensi, dei Tiziensi, dei Luceri, con fini militari e politici. Ma che in qualche modo il Comitium fosse, al tempo stesso, un luogo sacro è indicato da due fattori: innanzitutto, il gravitare su di esso del santuario di Giove sul Campidoglio, che conferiva a quest'area sottostante il valore di templum, cioè di spazio dedicato alla divinità; in secondo luogo, i resti archeologici del Lapis Niger (pietra nera), la tomba-santuario di Romolo.



Ma la sacralità di tutta la piana era evidenziata sopratutto dal Tempio di Vesta, sorto, come attestano gli scavi, quasi contemporaneamente alla fondazione della città (data tradizionale: 754 - 753 a. C.). Nel tempio si conservava il fuoco sacro, simbolo della vita di Roma; per questo motivo esso non doveva mai spegnersi: all'inizio la sua cura era demandata, secondo la tradizione, alle figlie del re, poi alle vergini vestali, in numero di sei, vere sacerdotesse della città, sulla cui virtù e coraggio molte leggende ci sono pervenute.
Nel punto più segreto del santuario erano custodite le reliquie trasportate dal mitico Enea dalla lontana Troia, tra le quali spiccava il famoso Palladio, simulacro di Minerva.
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sabato 18 gennaio 2020

Il patrono degli scrittori

Ho trovato un libro curioso e interessante (come, in un modo o nell'altro, lo sono tutti i libri che vi propongo) dal titolo: 
Santi per ogni occasione 101 santi protettori 
di Thomas J. Craughwell (2003)
e sfogliandolo ho scoperto che c'è un patrono anche per gli scrittori:




San Francesco di Sales   (1567 - 1622)    24 gennaio

Molti santi sono stati scrittori prolifici, ma san Francesco di Sales era anche persuasivo. 
I volantini che pubblicava sulla verità della fede cattolica - scritti in una prosa chiara ed elegante - riportarono migliaia di calvinisti alla Chiesa. Da quasi quattrocento anni la sua Introduzione alla vita devota è un "manuale" molto apprezzato su come abbandonare abitudini peccaminose e avvicinarsi a Dio.
Papa Pio XI lo ha proclamato santo patrono degli scrittori nel 1923.



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Non avendo a disposizione un seminario, Francesco teneva corsi di teologia ed esaminava personalmente ogni nuovo candidato al sacerdozio. Impartiva lezioni di catechismo ai bambini e predicava dappertutto. Era in corrispondenza con centinaia di persone in cerca di direzione spirituale: possediamo ancora più di duemila sue lettere e scrisse trattati su tutto, da come insegnare religione a come riportare gli ordini religiosi al loro fervore originario.



L'eredità più duratura di Francesco come scrittore è la sua Introduzione alla vita devota. disse di averla scritta "per coloro che vivono nelle città, nelle famiglie e a corte [e sono] e sono costretti a condurre almeno esteriormente una vita ordinaria". Lo scopo di questo manuale pratico e psicologicamente sagace consisteva nell'aiutare i cristiani ordinari ad abbandonare abitudini incaute e vecchi attaccamenti al peccato e a portarli passo dopo passo a un amore più profondo per Dio. Il libro divenne un best-seller e l'editore accumulò una fortuna. Francesco facendo inorridire tutti gli scrittori da allora in poi, non volle accettare i diritti d'autore.
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martedì 14 gennaio 2020

Le botteghe degli artisti medioevali descritte da DAVERIO

Tra Aprile e Maggio ho trascritto 5 bellissimi e utili post sull'arte: "LEGGERE L'ARTE" (appunto), tratti da articoli di giornale.
Quel che vi trascrivo ora invece è una piccola parte presa dal libro; 
"LA STORIA DELL'ARTE - Giotto e il Trecento" raccontata da Philippe Daverio (2018).




L'artista medioevale e il suo lavoro

La distinzione che il Medioevo compie tra attività manuali e intellettuali relega la figura dell'artista al ruolo di mero esecutore. Nella realtà questi era spesso anche l'ideatore dell'opera d'arte, ma la componente intellettuale del suo lavoro iniziò a essere considerata solo nella seconda metà del XIII secolo. Inizialmente l'artista non compie un lavoro autonomo, ma dipenda dagli incarichi affidatigli dai conventi o dal capitolo vescovile. Svolge quindi un'attività itinerante che lo conduce, di volta in volta, presso i più importanti cantieri del tempo.



Nel Medioevo maturo, invece, questi trova una collocazione più stabile all'interno della città, dove le attività artigianali e artistiche hanno un mercato sicuro.
Guadagna allora anche un certo prestigio sociale, organizzandosi all'interno di corporazioni che regolavano e potenziavano il lavoro artistico.
Il lavoro artistico aveva nel Medioevo carattere collettivo. Alla stregua degli altri artigiani, pittori e scultori tenevano "botteghe", dove le opere venivano prodotte e anche vendute. La bottega era in genere costituita da un piccolo gruppo di uomini, che lavoravano più o meno in collaborazione tra loro, sotto la direzione di un magister. In conseguenza di ciò le opere erano generalmente anonime e, quando venivano firmate, la firma serviva a garantire la qualità del prodotto, più che significare l'orgoglio del singolo creatore.I contatti del resto testimoniano come i committenti richiedessero all'artista la supervisione del lavoro affidatogli, più che la sua autografia, requisito che la grande mole del lavoro stesso rendeva improponibile. La scelta, la sorveglianza, il risultato degli aiuti era infatti un problema di organizzazione interna della bottega, di cui l'artista rispondeva in prima persona.



Nel caso della Maestà commissionata a Duccio dall'operaio del duomo di Siena, le clausole del contratto prevedevano addirittura la possibilità della morte del pittore, protraendo le responsabilità del capo-bottega oltre i limiti della sua vita. In questo caso la sua famiglia era tenuta a provvedere al compimento dell'opera, affidando il lavoro a un'altra bottega o a quella dello stesso Duccio, nel caso in cui un suo discendente ne avesse ereditata la direzione. Le botteghe avevano infatti generalmente carattere familiare: gli artigiani "prendevano a bottega"  i figli, ma anche i generi e i nipoti, cui a volte affiancavano degli estranei che in pratica entravano comunque a far parte della loro famiglia. Gli apprendisti avevano di solito meno di quattordici anni: imparavano il mestiere traendo copie dai disegni conservati nella bottega, ma potevano compiere anche lavori occasionali, come quello di macinare i colori, fino al momento in cui non erano in grado di affiancare gli anziani nei lavori più difficili. Allora potevano rimanere nella bottega come lavoranti salariati, o mettersi in proprio.





Nelle foto Daverio al Liberty di Asola MN




















domenica 12 gennaio 2020

Obbiettivo città :TORINO

Una bella serie di libri che voglio farvi conoscere è 
"OBBIETTIVO CITTA' Edizioni White Star" 1991.
Sono libri fotografici ampi, patinati, belli.





TORINO
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Ma dentro la corazza, Torino è anche altra. Ed è morbida. E' pigramente arrendevole come una donna che dorme e però sa sorriderti, dal sonno, se avverte che tu la stai guardando. Questa Torino quieta, tenera, odorosa, con i suoi languori, è l'anima di una città irta di ferri. E' il suo segreto. Lo si raccoglie nei volti, lo si palpa nelle stagioni di mezzo. Perché Torino non è un luogo da sole a picco o da inverno troppo nordico. E' settembrina, è marzaiola, fa da declivio alle stagioni piene  per imporvi i toni soffusi  di quelle medie. Lo sanno più le rondini e gli ippocastani degli uomini, e infatti trionfano nelle stagioni di mezzo con una grazia che gli altri mesi ignorano. E' il clima di dolcezza torinese più tipico, più raccolto, quando non si ride, si sorride soltanto.



Qui la città militare, geometrica, fiera di inventare e di produrre si concede ai giochi di corrispondenze dolci, di memorie tenere. Basta quel sole sui vecchi mattoni di piazza Carignano, basta quel lampo dalla finestra di un giardino, basta quell'ombra che ti accompagna in via Maria Vittoria: li trovi la Torino che sai che odora di trucioli, di bignole, di nebbie rimaste, di vernici artigiane, di frutta, di vecchi mobili, di tipografia di grissini, di fiori secchi. 



C'è una Torino dentro una Torino che cova altre Torino. Proprio come la si vede dall'alto, nei suoi quadretti ben disegnati. ed è in questa serie di scatole magiche, che si proteggono e si nascondono, che bisogna rivedere una città la cui cifra misteriosa è valida se la sappiamo ancora evocare. Se sappiamo. Se sapessimo. Infelice l'uomo che non riesce ad evocare il suo ideale nel momento reale.
Giovanni Arpino






venerdì 10 gennaio 2020

Ricetta d'Inverno

Per combattere freddo e gelo (invece della pelliccia) cosa c'è di meglio di una bella zuppa calda? 
Se poi la zuppa in questione è la specialità di una terra dove freddo e gelo sono di casa meglio no!?!
Da "La cucina delle nonne - La vera cucina tradizionale italiana" (2005) ecco a voi la:


Zuppa di cipolle Valdostana


500 gr di cipolle bionde
400 gr di toma stagionata o di formaggio semigrasso
1l e mezzo di brodo di carne
pane scuro raffermo
olio


Ricetta annotata e cucinata da Claudia Petigat di Villeneuve.
Far imbiondire in un bicchiere di olio le cipolle, senza bruciarle, ma rendendole croccanti.
Predisponete una marmitta a bordo alto ungendo leggermente il fondo, e sistemate poi strati di fette di pane scuro raffermo, alternandole con cipolle su cui verrà spruzzato pepe e noce moscata.
Finite ricoprendo con la toma o il formaggio tagliati a fette sottili e bagnando con il brodo di carne.
Infornare a 200° per poi aumentare , dopo 40 minuti a 300°.
Quando la zuppa di cipolle presenterà una crosta consistente e leggermente brunita, sarà pronta per essere servita.



martedì 7 gennaio 2020

E' tempo di cambiare pelliccia!


Inverno. Freddo e gelo. 
Cosa c'è di meglio di una bella pelliccia per scaldarsi??? 
ODDIO NO!!! Non per noi, per loro, gli "animali", quelli veri!
Dal secondo volume dell'enciclopedia "GLI ANIMALI - Tutti gli animali nel loro ambiente" (1966) vi riporto la descrizione del re degli impellicciati: L'ERMELLINO



Un bell'animaletto lungo più di 30 centimetri è l'Ermellino (Mustela erminea). Esso è sopratutto diffuso in Asia e in Europa, dove non è difficile trovarlo nei luoghi più disparati. Qualche volta questo grazioso animale tanto ricercato si può trovare anche sulle Alpi a notevole altezza. Per secoli e secoli, L'Ermellino è stato il simbolo della regalità e della sovranità intellettuale: infatti, non solo ornava i mantelli di Corte nelle famiglie reali, ma anche le toghe e le cappe di professori, magistrati e uomini di scienza.
Oggigiorno, però, il prezzo altissimo della sua pelliccia lo destina quasi esclusivamente a una cerchia ristretta di ricca clientela femminile.



Piccolo, sottile, capace di scivolare nelle tane più strette, L'Ermellino è una piccola belva di indicibile voracità, che attacca animali anche di taglia maggiore e uccelli non sempre di piccola mole: topi, talpe, conigli, lepri, sorci, piccioni e polli sono le sue prede dalle quali sugge il sangue. Durante l'estate la sua pelliccia assume un colore rosso-giallastro sul dorso e bianco sfumato di giallo nelle parti inferiori. Ma in inverno il suo pelo muta di colore e, per consentire all'animale di passare inosservato sulla neve, assume quel noto colore bianco immacolato, che lo rende tanto prezioso e ricercato in pellicceria: allora soltanto i suoi piccoli occhi vivaci e l'apice nero della coda spiccano su quel pelame di un candore sorprendente.



Di solito, i piccoli Ermellini nascono alla fine della primavera e la loro mamma li depone in una tana grande e comoda ch'essa ha preparato con grande cura. Quando i piccoli, da sei a nove, nascono, la femmina li nutre affettuosamente portando loro i frutti della sua caccia; li difende con una tenacia incredibile e non esita a trasportarli in luoghi più sicuri allorché prevede l'avvicinarsi di un pericolo. Soltanto verso la fine dell'autunno seguente al loro primo cambiamento di colore i giovani abbandonano la mamma e si disperdono nella foresta, iniziando tranquillamente la loro vita indipendente.



lunedì 6 gennaio 2020

Il fiore del mese di GENNAIO:


L'ELLEBORO Fetido è così definito per via dell'odore forte e sgradevole che emana quando è maneggiato. Cresce nei prati umidi e nelle zone boscose all'inizio della primavera, e i suoi graziosi fiori color verde tiglio pendono come campane.
In tempi remoti la pianta era considerata un portafortuna e veniva usata in un rito per proteggere il bestiame dal male. 
Melampo, un indovino e guaritore che visse 1400 anni prima di Cristo, usava l'Elleboro come rimedio contro la pazzia.
E' strettamente legato alla Rosa di Natale, l'Helleborus niger.
Da Il linguaggio dei fiori selvatici




Su svegliati, su levati
E vammi in cerca dell'elleboro nero, 
Che il senno renda a questa creatura.
Da "La figlia di Iorio, Gabriele D'Annunzio, 1863-1938.




domenica 5 gennaio 2020

Per cominciare il 2020

Iniziamo il nuovo anno con una poesia "particolare".
Da un ANTOLOGIA per la prima classe media 1970 "Voci moderne e antiche".

Uccelli di dodici mesi di Thomas Hardy

USIGNOLO

Fischiano i tordi e i fringuelli a sera
e gli usignoli soli o a canto alterno
- s'annuncia primavera -
e par che il tempo sia loro in eterno.

TORDO

Ma, un anno fa, non tordi né fringuelli
erano, né usignoli tutti insieme, 
ma semplici granelli
d'aria e terra, particole di seme.

FRINGUELLO

Vi auguro un BELLISSIMO