martedì 24 settembre 2019

Omaggio a GIULIO ROMANO


Il salotto di Psiche

L'antiquario mantovano Jacopo strada in una sua descrizione del Palazzo Te (1577) così descrive questo ambiente: "un camaron quadro dove è la fabula di Psiche. Tutto il volto si è di figure colorite in scurcio a olio. Li cartoni li fece Julio Romano di sua propria mano. D'ogni intorno contiene le medeme fabule; in queste facciate vi è colorito di man di Giulio; di man del Fattore, che ha nome Johan Francesco, allievo di Rafael d'Urbino... e d'altri valentuomini a concorrenza l'un dell'altro".
A Giulio Romano si deve dunque la concezione generale della decorazione e l'esecuzione di alcune sue parti, sebbene egli si valga largamente della collaborazione di Giovan Francesco Penni detto il Fattore, suo condiscepolo alla scuola di Raffaello in Roma, oltre che di Benedetto Pagani, di Rinaldo Mantovano, di Luca da Faenza, del Primaticcio. ...



... Da più parti si è posto l'accento, sul carattere "romano" e "raffaellesco" dello stile di queste pitture sebbene qui domini, ricercato e voluto, quel piglio grandiosamente scenografico tipico di Giulio Romano e del tutto estraneo alle misurate armonie compositive e cromatiche di Raffaello; sensibile inoltre all'apporto della scuola emiliana, del Correggio e del Parmigianino, i cui arditi scorci e suggestivi contrasti di chiaroscuro ritroviamo nel soffitto.
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Da Documenti d'Arte   Palazzo Te di Mantova







giovedì 19 settembre 2019

Vi presento: HARRIET BEECHER STOWE

Harriet-Elizabeth Beecher Stowe 
14 giugno 1811 - 1 luglio 1896
Scrittrice e attivista statunitense
La sua opera più famosa: "La capanna dello zio Tom"



Nell'anno che vide nascere la sua improvvisa fama, il 1851, Harriet Beecher Stone aveva raggiunto la quarantina e si descriveva da sé come "niente di straordinario nei miei giorni migliori, e ormai francamente sciupata".
era una donnina fragile e minuta, dal viso incorniciato di riccioli castani; un viso non bello, ma pieno di carattere, in cui il lineamento saliente era la bocca, grande e ferma, dal disegno volitivo.
La sua vita non aveva avuto sinora tappe importanti all'infuori del matrimonio, della nascita dei figli, della morte di persone care: le solite pietre miliari del cammino di una donna.



Da una lettera di Harriet a un amica.
"Mi sposai che avevo venticinque anni, con un uomo ricco di greco, di latino, di lingue orientali, e, ahimè, di nient'altro. 
Quando misi su casa, tutta la mia riserva di vasellame per cucina e salotto fu comperata con undici dollari. Tirai avanti così per due anni, finché si sposò mio fratello e venne a visitarci con la moglie. Allora mi accorsi, in capo a una rapida ispezione, che non avevo né tazze né piatti a sufficienza per mettere a tavola i miei parenti; ragion per cui pensai di rinforzare le mie riserve di porcellana con un servizio da tè che venne a costarmi dieci dollari; e con ciò il mio corredo casalingo fu sistemato per diversi anni.



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Di settimana in settimana un pubblico sempre più vasto e appassionato seguiva le vicende dello ZIO TOM, stranamente, le vendite della "National Era" non registrarono nessun aumento sensibile: infatti i lettori, quasi tutti appartenenti a comunità povere, si passavano le copie di mano in mano, fino all'ultimo limite di resistenza della carta.
Ci vollero ben quaranta puntate per giungere alla fine del racconto.
Frattanto si era pensato alla pubblicazione dell'opera in due volumi.
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La prima edizione apparve nelle vetrine dei librai il 20 marzo 1852, e fu inghiottita dal mercato in un paio di giorni; la seconda appena uscita, fu letteralmente spazzata via, e già si accumulavano le prenotazioni per la terza, che sparì anch'essa in un baleno.
Nel giro di tre settimane, ventimila copie erano state vendute.
La cosa più curiosa a proposito di questo successo librario, "il più grande di tutti i tempi dopo la Bibbia", sta nel fatto che nacque e si sviluppò all'insegna del più genuino dilettantismo. Nessuna delle persone che vi collaborarono era professionalmente qualificata per farlo, a cominciare dall'autrice stessa.



Harriet no era una letterata, e nemmeno posava ad esserlo: era una massaia, con pochi soldi e una grossa famiglia, che scriveva racconti (come dice candidamente una sua lettera) per pagarsi la donna di servizio.
Il direttore Bailey non era un giornalista ma un ex-medico della marina, che aveva abbandonato la carriera per dedicarsi alla causa dell'abolizione della schiavitù.
L'editore Jewett non aveva mai pubblicato romanzi, non si intendeva di letteratura e s'aspettava di tutto fuorché un successo di quella fatta.
Ma il colmo del dilettantismo sta nel fatto che Harriet non aveva mai visto il "Profondo Sud" dov'era ambientato il suo racconto.
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martedì 17 settembre 2019

Vi presento: MADAME de STAEL

Anna-Louise Germaine Necker baronessa di Stael-Holstein
22 aprile 1766 - 14 luglio 1817
Scrittrice francese di origini svizzere
La sua opera più famosa: "De l'Allemagne"



L'aspetto della Stael, trascurando le descrizioni meno obbiettive, fu delineato icasticamente da Puskin, che la conobbe a Mosca: "una grossa donna sui cinquanta, vestita in modo non adatto alla sua eta, piena però di talento e di cuore; discorsi troppo lunghi e maniche troppo corte".
A parte i discorsi, il cuore e il talento, quel ritratto si riconosce nel dipinto famoso di Gérard, che si trova a Versailles e che la raffigura com'era: una giovane tedesca dei campi o una svizzera di montagna, pienotta e niente affatto raffinata nei vestiti e nella posa; il quadro accentuava, con la solennità neoclassica del manto e la bizzarria orientale del turbante biancorossoverde, un che di volgare, già tradito dal vasto piazzale del torace nudo, e dalle sode e turgide braccia.



Coppet, la residenza dei Necker in Svizzera, non è un castello, e nemmeno una villa; è un grosso edificio in fondo a un vialetto alberato nella periferia di un villaggio. Ai lati dell'edificio due torri di poca importanza; intorno un parco con la cascata e con l'"orrido", e son queste le cose che han consentito la definizione corrente di "castello", attribuita alla dimora settecentesca.
Più sontuosa è la maestà del lago su cui s'affaccia la casa; in questo punto, il Lemano ha le sponde basse e il suo azzurro è intenso. Nei giorni di sole, dal lago e dai ghiacciai del Monte Bianco sprizzano scintille e una trina di spilli candidi e diacci avvolge Coppet.



Chi cerchi il fantasma della dama irrequieta, qualcosa di lei troverà visitando quella casa.
E' a pochi chilometri da Ginevra e naturalmente è diventata un museo.
Attraverso lo scalone ampio si accede arredate quasi tutte in stile Impero, nelle quali l'impronta di lei può essere riconosciuta; si avverte il gusto di una padrona di casa di larghi mezzi, che poteva scegliere mobili e stoffe, senza interferenze.
Alle pareti i ritratti di lei e dei familiari; nelle bacheche incastrate nei muri gli originali di alcune sue opere, e particolarmente dell'Allemagne e le prime edizioni di altri suoi libri. E poi le molte varie curiosità, domestiche o no, autentiche o no,  che fanno testimonianza della vita di una personalità famosa.



Certe stanze, se non figurano più come tali, s'indovina che furono camere da letto, e doveva essercene bisogno, in una casa come questa, che ospitò i proscritti di mezza europa.
In più riprese, gli scampati della ghigliottina della Rivoluzione francese e alle collere di Napoleone, i patrioti perseguitati d'Italia, gli esuli dalla Russia e dalla Germania convennero a Coppet, dove madame de Stael aveva pane e lodi per tutti.
A Coppet rinascevano gli umiliati e i vinti; qualcuno disse che era quella la casa di Odino dove i guerrieri uccisi si rialzavano e riprendevano a lottare.



Il ROMANTICISMO non lo inventò lei, come qualcuno sostenne. Soltanto, con il più importante dei suoi libri De l'Allemagne, lo trasferì dal Nord, dove era già vivo, all'Europa latina, indicandone in una dotta analisi critica i caratteri estetici e morali e preannunciandone gli sviluppi, che in Inghilterra e in Germania si andavano profilando. Anche in questo buona europea, madame de Stael favoriva, la circolazione delle idee.
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Nata a Parigi da genitori svizzeri, sposata a uno svedese, non era francese né svizzera né svedese, anche perché suo padre era figlio di un tedesco, il quale a sua volta discendeva da emigrati irlandesi.
Probabilmente in Germania rintracciava le sue radici; di tedesco non aveva soltanto la figura, ma anche certi caratteri mentali; comunque, la parte di Europa che le risultò più congegnale, di quelle che visitò, fu proprio la Germania, come risultò dall'Allemagne, il migliore dei suoi libri.



Pochi ebbero tanti motivi come lei per potersi dire "europei" e per pensare "all'europea", in questo rifletteva la città di origine, Ginevra, che ai suoi tempi, come poi, era uno zibaldone etnico. 
Di tale ibridismo la Stael anche per i viaggi e gli studi e le amicizie, fu lo specchio fedele. Se no anticipò l'idea degli Stati Uniti d'Europa, del resto già avanzata da Rousseau, fu perché si preoccupava di dar valore ai caratteri nazionali dei singoli paesi.



venerdì 13 settembre 2019

Vi presento: MADAME de LA FAYETTE

Madame Marie-Madeleine Pioche de la Vergne,
contessa di la Fayette 
16 marzo 1634 - 25 maggio 1693 
Scrittrice e biografa francese
La sua opera più famosa: "La principessa di Clèves"



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Nel 1659, l'anno stesso in cui Molière presentava le sue Preziose ridicole, apparve la prima opera della contessa; un "ritratto", di quelli che allora usavano, a scopo apologetico, dedicato a una "preziosa" di classe, sua amica e già sua rivale, madame de Sévigné.
Non era un lavoro di grande impegno: uno scritto di poche pagine, un tantino adulatorio, ma qua e là malizioso.
Più tardi, ella poté giovarsi del consiglio di un più autorevole collaboratore letterario, il duca de La Rochefoucauld. La tenerezza fra lui e madame de La Fayette, vale a dire la loro amicizia amorosa, nacque nel 1665, quando lui aveva cinquantadue anni e lei trentuno. 
Tre anni dopo la pubblicazione del suo primo scritto (La princesse de Montpensier) uscì il suo secondo romanzo, Zayde, ella aveva trentotto anni e i suoi rapporti col duca erano quelli di una ben assestata convivenza, fondata sulla stima e sull'affetto.
Fu proprio in quell'anno che la signora de La Fayette incominciò a scrivere La principessa di Cleves, e continuò a scrivere, limando e levigando, per sei anni.
Ogni sera leggeva al duca la pagina della giornata; ascoltava le osservazioni, ne faceva tesoro, ma stavolta il romanzo restò interamente suo.
E fu un capolavoro.



Si disse che l modello della Principessa di Clèves, infelice eroina travolta da un amore adulterino, a cui per rettitudine resiste, fosse stata, ancora una volta, Enrichetta d'Inghilterra, morta nel frattempo; altri ritennero invece, che la protagonista ritraesse la cognata dell'autrice, quella Louise-Angélique de La Fayette finita in convento dopo la sua turbolenta vicenda d'amore con Luigi XIII. Nel seicento importava molto, e a molti, risolvere l'enigma del "romanzo a chiave", come oggi diremmo.
Quel libro fu il primo autentico romanzo moderno; e tutti gli psicologi della letteratura, da Flaubert a Proust, da Dostoevskij a Joyce, da Manzoni a Faulkner devono qualcosa alla meticolosa, sottile, lucida indagine dei sentimenti compiuta da madame de La Fayette.



Caso singolare, quello della La Fayette e di La Rochefoucauld, in cui all'uomo toccò di ispirare e alla donna di creare: l'opposto del solito cliché della ninfa Egeria ispiratrice dell'uomo artista. 
E' un fatto che senza La Rochefoucauld La principessa di Clèves, sarebbe stata egualmente una trina tenue dal disegno raffinato, ma avrebbe avuto minor vigoria il ritratto del cuore che egli gli aveva insegnato a dipingere.



sabato 7 settembre 2019

Vi presento: MADAME de SEVIGNE

Madame Marie de Rabutin-Chantal, 
marchesa di Sévigné 
5 febbraio 1626 - 17 aprile 1696 
Scrittrice francese


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A detta delle sue stesse amiche, è la più gentile fra le dame di corte, la più dolce, la meno incline a pettegolezzi e canzonature; ma nello stesso tempo è troppo donna per non palpitare di curiosità. 
Questa signora inappuntabile, vedova dall'età di venticinque anni e, si direbbe, senza traccia di debolezze, sembra riallacciarsi all'umanità unicamente in nome di un vibrante interesse per il suo prossimo, come se lo spettacolo sempre vario che sfila sotto il suo sguardo costituisse per lei il più appassionante dei drammi. 
Le brillano gli occhi che sono vivacissimi, le pupille saettano in tutte le direzioni, quasi per timore di lasciarsi sfuggire un particolare di capitale importanza; e la bocca, tenera e maliziosa, sgrana l'una dopo l'altra le definizioni dell'evento "E' la cosa più stupefacente, la più sorprendente, la più miracolosa, più trionfante, più abbagliante, più straordinaria, più incredibile, più imprevista..." (parlando del matrimonio di Luisa d'Orléans)



Marie de Rabutin-Chantal, futura marchesa di Sévigné e prima giornalista di Francia (ancorché a propria insaputa, poiché mai le sarebbe passato per la mente di classificarsi in questa categoria) ebbe per nonna una santa, e per genitore un soldato.
Nasce a Parigi il 5 febbraio 1626. Rimane orfana giovanissima, prima del padre e dopo poco tempo della madre, raccolta dai nonni materni in capo a tre anni li perde entrambi, l'orfanella viene allora posta sotto la custodia di uno zio che provvede a darle un ottima educazione.
Apprese l'italiano - la lingua più alla moda, in quell'epoca, fra la gente bene - lo spagnolo e persino un po' di latino, quanto basta a fare buona figura in una società di persone colte.
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Madamigella di Scudéry, nel suo romanzo Clelia del 1654, dice di lei: "La sua conversazione è facile, divertente, naturale; parla assennatamente, parla bene, ha persino, a volte, certe espressioni ingenue e spiritose che piacciono infinitamente. Dimenticavo di dire che scrive come parla, cioè a dire nel modo più piacevole ed aggraziato che si possa pensare.
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Voltaire che fu tra i primissimi letterati del Settecento a interessarsi dell'epistolario di madame de Sévigné, scrisse; "Le sue lettere, piene di aneddoti, scritte con libertà e uno stile che dipinge ed anima ogni cosa, costituiscono la miglior critica degli epistolari affettati in cui si va in cerca di spirito, e ancor più di quelle finte lettere con cui si vuole imitare lo stile epistolare, facendo sfoggio di falsi sentimenti e di false avventure con dei corrispondenti immaginari. E' un peccato tuttavia che manchi assolutamente il gusto, che non sappia render giustizia a Racine ( il grande tragediografo; contemporaneo della Sévigné ) e che metta sullo stesso piano l'Orazione funebre di Turenne, pronunciata da Mascaron, e il grande capolavoro di Fléchier (oratore sacro del Seicento)".







venerdì 6 settembre 2019

Presentiamo LE IMMORTALI





In un vecchissimo POST del 30-07-2012 e in uno successivo del 03-08-2012 vi ho presentato una raccolta di libri, 14 volumi per l'esattezza, ognuno dei quali riporta le storie di 7/8 personaggi femminili (in totale 100); LE IMMORTALI.
Sono donne famose (di alcune di loro, però, personalmente, non conoscevo l'esistenza) passate alla storia per i motivi più diversi: regine, pittrici, attrici, cantanti, favorite, mecenati, scrittrici, ecc. 
Nei post sopra menzionati vi ho parlato di Elizabeth Barret, poetessa inglese vissuta per gran parte della sua vita in Italia (dove è sepolta), e Vittoria Colonna nobildonna e poetessa italiana contemporanea di Michelangelo.
Ora ho ripreso in mano questi volumi per presentarvi qualche altra immortale appartenente al mondo della scrittura (a dire il vero questa enciclopedia non ne riporta molte, una decina forse): poetesse, scrittrici, ma se avete curiosità su qualche altro personaggio femminile di cui volete approfondire la conoscenza contattatemi e vedrò se i miei libri ne scrivono.