venerdì 31 maggio 2019

E non è finita.... la DOMENICA



Ed eccoli i musicisti:



SIMPATICISSIMI E BRAVISSIMI!

Domenica 2 Giugno 2019 - TUTTI a LIBRISOTTOIPORTICI



Non solo per comperare libri (nuovi, vecchi, rari o economici) ma anche per conoscere l'autore di BELLISSIME, e sottolineo bellissime, POESIE.


                      LUCA MARTINALLI

giovedì 30 maggio 2019

Serie Autori: LUIGI CAPUANA italiano


Luigi Capuana (1839-1915) fu il maggior teorico del verismo italiano, legato da una lunga amicizia a Verga e a De Roberto.
Tema caro ai veristi  sono le trasformazioni economiche che sconvolgono la società facendo alternare uomini e classi. Capuana, però, accompagna con pietoso sorriso i suoi "vinti".
Capuana visse tra Mineo (Catania), dov'era nato, Firenze, Roma e Catania.



scrisse un centinaio di libri (romanzi, novelle, saggi critici) ma pochissimi continuano ad essere letti: Il marchese di Roccaverdina (1901), una cupa storia d'amore e di gelosia, e Scurpiddu, un bel libro per ragazzi.



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Vero, verissimo! I Majori erano sempre stati delle brave persone, mastri notai di padre in figlio fino al diciannove, quando era uscito dall'inferno quel castigo di Dio chiamato codice napoleonico, per la disperazione del notaio Majori, padre di don Mario, che non poté capire mai nulla e dovette smettere dal suo ufficio.
- Come? Non più formule latine?... e gli atti intestati a nome del Re?... Ma che c'entra Sua Maestà il Re nelle contrattazioni private?-



E volle lavarsene le mani, per sgravio di coscienza. Così lo stoppino del gran calamaio di rame s'era inaridito nel suo studio, e le penne d'oca s'erano sgangherate; ne ci fu più nella sua casa quel via vai di prima, quando tutti accorrevano da lui, ch'era l'onestà in persona e non metteva mai sulla carta una parola di più né una parola di meno di quello che volevano le parti interessate. E così, don Mario, che fin allora aveva fatto da scrivano nello studio paterno e sapeva a memoria tutte le formule latine senza pur intenderne una sillaba, s'era trovato disoccupato col fratello don Ignazio, che valeva poco più di lui; e dopo che il notaio morì di crepacuore per quel codice scomunicato, privo di formule latine, e che voleva intestati gli atti in nome del Re!... I due fratelli vivacchiarono di quel poco da essi ereditato, ma alteri della loro onesta povertà.
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Dalla raccolta Fumando (Quacquarà)



Serie Autori: ULTIMA PARTE


Quest'ultima parte  è riservata (come già precedentemente accennato) agli scrittori ITALIANI.
Non tanti 6 o 7 autori dei quali vi trascrivo un accenno di biografia e un brevissimo assaggio della loro opera, come per tutti gli altri autori che vi ho fino ad ora presentati.
Sempre sperando di farvi cosa gradita e di avere da voi una qualche risposta.



lunedì 27 maggio 2019

Siii viaggiare... di nuovo



In tutta la letteratura occidentale, uno dei generi di maggior successo e più frequenti nel corso dei secoli è stato la narrazione di viaggio. Hanno preso la penna per raccontare le loro impressioni e le loro avventure mercanti-esploratori come Marco Polo e poeti-scrittori come Wolfgang Goethe, tanto per citare autori lontani nel tempo, nello spazio, negli intenti delle loro opere.
Un vero abisso separa - e non potrebbe essere altrimenti - Il Milione da Viaggio in Italia. La scelta di questi due esempi non è casuale: serve a dimostrare, grazie alla fortuna goduta dai testi in questione, quanto l'ITINERARIO, il racconto di esperienze fatte in terre lontane e favolose o in paesi vicini, ricchi di storia e di cultura, le descrizioni di angoli remoti del mondo o di contrade piene di fascino e di stimoli intellettuali possono fare presa sui lettori di ogni epoca.
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Tratto da ???( purtroppo non ricordo il libro  dal quale ho preso questo spunto, scusate)



D'accordo, forse non capita tutti i giorni di avere l'ispirazione giusta per dare forma a una storia, per realizzare il sogno di scrivere un libro, per mettere coerentemente insieme quelle idee che avete scarabocchiato su un taccuino. Ma a volte basta poco, la creatività va solo stimolata. Magari cambiare aria, vedere posti nuovi, osservare le persone. 
Prima di affidarvi a un writing coach, fate lo zaino, portate un pc, un blocco, una macchina fotografica e mettetevi in marcia. Forse non tornerete con le bozze del capolavoro del secolo, ma di sicuro ritemprati nello spirito. 



Se desiderate che nessuno vi disturbi e avete in mente di dedicarvi solo a carta e penna, puntate diritti alla foresteria dell'EREMO di CAMALDOLI nel casentino, in Toscana, dove troverete quiete assoluta e ritmi, ovviamente, monastici.
Rimanendo in Toscana, lungo il MontePisano, vi imbatterete nella meravigliosa VILLA ANNAMARIA dove il padrone di casa, con insolita simpatia, vi accoglierà in una dimora storica mirabolante con paradisiaco giardino, tra scrittori e artisti che qui cercano l'incipit giusto. Pare che anche Mary Shelley avesse trovato fra queste mura l'ispirazione per il suo Frankenstein.



C'è storia e ci sono storie da scoprire anche sull'ISOLA BELLA sul Lago Maggiore, tra le isole Borromee, passeggiando per il parco botanico all'inglese, il giardino barocco all'italiana e quello medioevale. e a proposito di isole, per un aspirante scrittore non sono da sottovalutare le gite fuori stagione: PROCIDA, per esempio, si svela al viaggiatore in tutta la sua selvaggia bellezza anche lontano dai periodi caldi. Chissà che i luoghi dell'Isola di Arturo di Elsa Morante, una passeggiata nelle viuzze e la visita al MUSEO CASA DI GRAZIELLA, ispirata al romanzo Graziella dello scrittore francese Alphonse de Lamartine, non nutrano quella storia che da un po' vi gira in testa.



Tra una passeggiata sul lungolago e una al porticciolo di BELLANO invece, in provincia di LECCO, le penne che fremono per lanciarsi in un nuovo romanzo ritroveranno i luoghi dei racconti di Andrea Vitali e magari saranno ancora più motivate da una visita all'ORRIDO di BELLANO, una gola naturale che pare uscita da una fiaba con tanto di passerelle sospese.Tra i 33 mila libri e i 10 mila oggetti della PRIORIA, l'ultima casa di Gabriele D'Annunzio al VITTORIALE degli ITALIANI di GARDONE RIVIERA, anche lo scrittore arenato troverà lo sprone per rimettersi sulle sudate carte. Tra le varie stanze quella che fa al caso è l'Officina, ovvero lo studio dell'operaio della parola come a D'Annunzio piaceva definirsi.
Tratto da un articolo di Adriana Malandrino 




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Sia lodato il treno che s'industria a mostrare il paese tutto, e non tenta di rapinarlo in corse disperate ed in precipitose gallerie, più presto, sempre più presto, quasi che il macchinista si sia fitto in testa di poter fuggire da quell'unica che non lascia nulla e nessuno, che va d'un punto più lesta e del pensiero umano e degli astri celesti.
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Da "Italia per terra e per mare" di Riccardo Bacchelli




lunedì 6 maggio 2019

Leggere l'ARTE: 5°

Per finire questa parte dedicata all'arte, o meglio alla sua "lettura", vi voglio trascrivere alcune righe tratte da un libro molto particolare, cosi come particolare è il suo autore, più precisamente dal capitolo primo "La comprensione dell'immagine " della terza parte "L'ARTE".
Il libro ha per titolo:
 VIVERE LA DISPERSIONE e l'autore è Don FRANCO BONTEMPI
E' un libro di 250 pagine circa, costa 20 euro, e se vi interessa ve lo posso procurare con tanto di autografo.
Per gli appassionati di storia ebraica si tratta di un libro molto interessante, da non perdere.


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Già Martin Buber osservava "Ambedue, l'uomo orientale e quello occidentale, sono uomini che sentono e agiscono, ma l'uno, l'orientale sente in movimento, l'altro, l'occidentale, agisce in immagini. Il primo, quando percepisce, vive l'azione; il secondo, quando agisce, rivela la forma".
L'osservazione è pertinente, ma imprecisa, in quanto da un punto di vista pittorico non viene chiarito il movimento, poiché si può rendere visibile un immagine mobile solo con il teatro.
Se si vuole rappresentare il movimento nella pittura, è possibile solo mediante la vivezza e la diversità dei colori. 
Lo scrittore ebraico non propone mai un immagine da riprodurre secondo il suo disegno, rendendone così impossibile la ricostruzione. La tradizione sacerdotale postesilica non descrive il modello delle vesti del sommo sacerdote, ma la vivacità dei colori "Farai il pettorale del giudizio, artisticamente colorato... con oro, porpora viola, porpora rossa, scarlatto, lino ritorto". Più interessanti sono le gemme sovrapposte in quattro file di tre, con un disegno piuttosto semplice, "Le coprirai con una incastonatura di pietre preziose, disposte in quattro file".



Il rosso con le sue varie gradazioni, ha la predominanza, serve per descrivere due realtà di grande rilevanza: il sangue, degli animali e dell'uomo, sede della vita, e il vino, segno di ricchezza, di festa, di gioia. Per l'ESODO il sangue dell'agnello pasquale è il segno rosso dipinto sulle case degli ebrei, che stanno per fuggire dall'Egitto, ed è indice di salvezza.
Le pitture preistoriche erano eseguite per la maggior parte col colore rosso e tale tradizione fu mantenuta dalle genti del deserto. Nella cena di Pasqua, festa dei nomadi, il rosso è l'elemento comune ai diversi cibi: il vino, il pane cotto e l'agnello.
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Il comandamento di non farsi immagini risale al periodo più antico della storia del popolo ebraico, all'epoca di Mosè. Infatti la sua formulazione fa intravedere l'età nomade: "Non ti farai idolo, né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai". Il divieto non parla solo di immagini di idoli, ma della scultura e della raffigurazione in se stessa.
La prima considerazione parte dall'Egitto e dalla sua concezione della statua, la cui rappresentazione assolve due funzioni primarie tra loro distinte, anche se interrelate: quella sostitutiva della persona raffigurata e quella celebrativa della stessa e delle vicende di cui è diventata protagonista.
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sabato 4 maggio 2019

Leggere l'ARTE: 4°

Dal post precedente proseguiamo con questo articolo che ci "insegna" a leggere l'arte nel passare del tempo.


La bellezza di divertirsi insieme
"Nell'800 tutto il mondo cambia. La pittura esce dagli studi per raccontare la vita quotidiana, dove l'allegria è quella della gente, è per strada, è un sentimento sociale, sinonimo di leggerezza come lo intendiamo noi oggi", continua D'Orazio.
"Gli impressionisti interpretano correttamente questa euforia collettiva, dipinta puntualmente da Renoir nel Bal au moulin de la Galette, dove lo sguardo dello spettatore non si concentra sui volti in primo piano, ma passa da una figura senza volto all'altra, attraversa l'aria, la musica, il ballo di questa folla in festa. Le persone sono allegre proprio perché sono insieme. L'allegria diventa bella, contagiosa, sinonimo di vita spensierata.
Proprio nell'Ottocento si perde il giudizio morale negativo e diventa uno stato d'animo positivo, simbolo di condivisione, relazione, ma anche di assoluta libertà.
e persino di emancipazione femminile: nella Parigi di Renoir le donne erano diventate protagoniste della vita cittadina.
Il secolo dopo, all'inizio del Novecento, con La risata del futurista Umberto Boccioni l'allegria è rappresentata come energia vitale: la donna che ride è il motore che mette in circolo il dinamismo di tutto il quadro, come se fossero i movimenti dei nostri corpi. Il sorriso non è più contagio collettivo ma diventa azione che ci fa esistere".



"Al contrario del delirio, che è un apice transitorio, il tormento è eterno, si impossessa di noi, ci fa perdere il controllo.E' un'emozione che non riusciamo a sostenere, resta, non possiamo liberarcene", spiega ancora Costantino D'Orazio. "Lo è nei dipinti di un grande maestro di umanità come Giotto, che riporta nell'arte i sentimenti che la timidezza medioevale aveva relegato nel privato delle case. In uno dei suoi affreschi più famosi, il Compianto sul Cristo morto, si tormentano addirittura gli angeli, creature beate e per eccellenza prive di emozioni. Di fronte alla morte di Gesù, piangono passandosi l'un l'altro la disperazione, vissuta da ciascuno a modo proprio, ma condivisa persino con la natura intorno, con la rupe deserta e l'albero rinsecchito.



Giotto racconta il tormento nella sua veste universale, che coglie insieme uomo e natura. Diverso il tormento rappresentato da Michelangelo nel Giudizio universale, un rovello interiore che ha il potere di deformare il corpo. La sua anima dannata ha il volto deformato e il corpo imprigionato da una forza che lo trascina verso l'abisso. 



Il tormento è stato percepito nei secoli così, come condanna, rappresentato come forza che deforma e abbruttisce. La dannazione ci toglie l'umanità, spingendoci in basso, incatenati per sempre.
E' l'esatto contrario dell'allegria.
Nel Novecento, però,l'arte interpreterà il tormento ben diversamente. Specie dopo la psicoanalisi di Freud, che permetterà a Giuseppe Pellizza da Volpedo di dipingere il Ricordo di un dolore. Qui l'emozione è colta e indagata nella dimensione interiore. La donna del dipinto non ha il viso stravolto dalla sofferenza, ma è accasciata sulla sedia con lo sguardo nel vuoto che parla della sua sofferenza.



Agganciata a un pensiero, al ricordo di un dolore che la allontana dalla realtà. Anche per noi oggi il tormento è questo e ben difficilmente riusciremmo a identificarci con il dannato di Michelangelo. Invece, D'istinto entriamo in empatia con il dolore muto della donna immobile di Pellizza da Volpedo.

Articolo di Gaia Giorgietti


giovedì 2 maggio 2019

Conosciamo DANIELA BIANCHI

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Fotografa, scrittrice e aspirante libraia, questo è DANIELA BIANCHI. 
Ma in tutto ciò ha un'arma che non lascia mai a casa: un fantastico sorriso con cui affronta ogni sfida che ogni giorno la vita le pone davanti.

Dall'articolo "Castenedolo, la bella storia di Daniela" su BresciaSettegiorni.it luglio 2016

Articolo di cui vi consiglio la lettura se volete arrivare preparati all'Incontro con l'autore di DOMENICA 5 MAGGIO a LIBRISOTTOIPORTICI.

Daniela, classe 1981, scrittrice bresciana indipendente, appassionata di lettura, scrive il suo primo romanzo nel 2015 "LA PANCHINA".


LIBRISOTTOIPORTICI propone....



Leggere l'ARTE: 3°

Continuo a parlarvi (o meglio scrivervi) di arte trascrivendovi un altro bel articolo.

Che emozione l'arte! 

Che cosa ci colpisce quando guardiamo un dipinto?
Perché ci piace? Perché no?
La risposta è nei sentimenti.
Gli artisti li catturano e ce li restituiscono nelle opere.
Ma lo stesso stato d'animo nel tempo è stato percepito in modo diverso.



Picasso diceva che gli artisti raccolgono la polvere che lasciamo cadere dalle nostre vite quando non ci accorgiamo che stiamo sorridendo, amando, soffrendo. I poeti, i pittori, i letterati, gli scultori non possono ignorare la polvere che ci cade dall'anima. Sono sensitivi, ricettacoli delle emozioni umane sparse per terra come se non fossero importanti. Ce le restituiscono nei loro dipinti, nelle loro opere. E' questo il motivo per cui l'arte ci colpisce dentro. Un'opera ci piace perché risveglia in noi sentimenti ed emozioni magari sopiti da tempo, come il desiderio, il delirio, il tormento, l'allegria, lo stupore, il dubbio.




"Nel corso dei secoli abbiamo percepito le emozioni in modo diverso e l'arte ci aiuta a capire come" ci spiega Costantino D'Orazio, storico dell'arte.
La storia ha vissuto l'allegria e il tormento, il desiderio e il dubbio in modi differenti. Allo stesso modo, si sono comportati gli artisti.
Leonardo ci ha raccontato i sentimenti come segni dell'anima. I grandi maestri del Cinquecento hanno reso il corpo e la fisicità messaggeri di ciò che proviamo nel nostro cuore. Il Novecento ha letto le emozioni come voci dello spirito dell'uomo.
"L'allegria è forse il sentimento più difficile da rappresentare, perché la sua percezione è completamente mutata nel tempo". Spiga D'Orazio. "Oggi la percepiamo come una cosa confortante e leggera. Ma questo stato d'animo è stato considerato per molto tempo quasi diabolico, molto vicino alla tentazione. Ne è un esempio il quadro di Jan Vermeer, Due gentiluomini e una fanciulla con bicchiere di vino.



Qui il pittore olandese rappresenta una ragazza che viene sedotta da due uomini che le versano del vino per farle perdere il controllo. Il sorriso della fanciulla scaturisce dall'ebrezza e l'autore condanna questa situazione con un giudizio morale molto severo. L'allegria è vista come tentazione, come qualcosa che porta all'indebolimento della volontà.
Tant'è che si intuisce perfettamente l'esito della scena: i due uomini si approfitteranno di lei.
L'allegria che dipinge Vermeer, vissuto nel Seicento, epoca moralizzatrice che aveva eletto la moderazione a metro della vita, è un'emozione negativa, un pericolo da tenere a bada, perché può renderci deboli e in balia degli altri".

Prosegue nel prossimo post...