martedì 14 gennaio 2020

Le botteghe degli artisti medioevali descritte da DAVERIO

Tra Aprile e Maggio ho trascritto 5 bellissimi e utili post sull'arte: "LEGGERE L'ARTE" (appunto), tratti da articoli di giornale.
Quel che vi trascrivo ora invece è una piccola parte presa dal libro; 
"LA STORIA DELL'ARTE - Giotto e il Trecento" raccontata da Philippe Daverio (2018).




L'artista medioevale e il suo lavoro

La distinzione che il Medioevo compie tra attività manuali e intellettuali relega la figura dell'artista al ruolo di mero esecutore. Nella realtà questi era spesso anche l'ideatore dell'opera d'arte, ma la componente intellettuale del suo lavoro iniziò a essere considerata solo nella seconda metà del XIII secolo. Inizialmente l'artista non compie un lavoro autonomo, ma dipenda dagli incarichi affidatigli dai conventi o dal capitolo vescovile. Svolge quindi un'attività itinerante che lo conduce, di volta in volta, presso i più importanti cantieri del tempo.



Nel Medioevo maturo, invece, questi trova una collocazione più stabile all'interno della città, dove le attività artigianali e artistiche hanno un mercato sicuro.
Guadagna allora anche un certo prestigio sociale, organizzandosi all'interno di corporazioni che regolavano e potenziavano il lavoro artistico.
Il lavoro artistico aveva nel Medioevo carattere collettivo. Alla stregua degli altri artigiani, pittori e scultori tenevano "botteghe", dove le opere venivano prodotte e anche vendute. La bottega era in genere costituita da un piccolo gruppo di uomini, che lavoravano più o meno in collaborazione tra loro, sotto la direzione di un magister. In conseguenza di ciò le opere erano generalmente anonime e, quando venivano firmate, la firma serviva a garantire la qualità del prodotto, più che significare l'orgoglio del singolo creatore.I contatti del resto testimoniano come i committenti richiedessero all'artista la supervisione del lavoro affidatogli, più che la sua autografia, requisito che la grande mole del lavoro stesso rendeva improponibile. La scelta, la sorveglianza, il risultato degli aiuti era infatti un problema di organizzazione interna della bottega, di cui l'artista rispondeva in prima persona.



Nel caso della Maestà commissionata a Duccio dall'operaio del duomo di Siena, le clausole del contratto prevedevano addirittura la possibilità della morte del pittore, protraendo le responsabilità del capo-bottega oltre i limiti della sua vita. In questo caso la sua famiglia era tenuta a provvedere al compimento dell'opera, affidando il lavoro a un'altra bottega o a quella dello stesso Duccio, nel caso in cui un suo discendente ne avesse ereditata la direzione. Le botteghe avevano infatti generalmente carattere familiare: gli artigiani "prendevano a bottega"  i figli, ma anche i generi e i nipoti, cui a volte affiancavano degli estranei che in pratica entravano comunque a far parte della loro famiglia. Gli apprendisti avevano di solito meno di quattordici anni: imparavano il mestiere traendo copie dai disegni conservati nella bottega, ma potevano compiere anche lavori occasionali, come quello di macinare i colori, fino al momento in cui non erano in grado di affiancare gli anziani nei lavori più difficili. Allora potevano rimanere nella bottega come lavoranti salariati, o mettersi in proprio.





Nelle foto Daverio al Liberty di Asola MN




















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