lunedì 31 agosto 2020

Cartoline dalla SARDEGNA


1) Tutto era mutato; il mondo si allargava come la valle dopo l'uragano quando la nebbia sale su e scompare: il Castello sul cielo azzurro, le rovine su cui l'erba tremava piena di perle, la pianura laggiù con le macchie rugginose di giuncheti, tutto aveva una dolcezza di ricordi infantili, di cose perdute da lungo tempo, da lungo tempo piante e desiderate e poi dimenticate e poi finalmente ritrovate quando non si ricordano e non si rimpiangono più.



Tutto è dolce, buono, caro: ecco i rovi della Basilica, circondati dai fili dei ragni verdi e violetti di rugiada, ecco la muraglia grigia, il portone corroso, l'antico cimitero coi fiori bianchi delle ossa in mezzo all'avena e alle ortiche, ecco il viottolo e la siepe con le farfalline lilla e le coccinelle rosse che sembrano fiorellini e bacche: tutto è fresco, innocente e bello come quando siamo bambini e siamo scappati di casa a correre per il mondo meraviglioso.
Da "CANNE AL VENTO" di Grazia Deledda 1913



2) "Qui il mare assume particolari sfumature che vanno dal blu più scuro al verde più puro... Montagne verdi e grigie cadono nell'acqua, un tappeto porpora e giallo, rosso e blu di fiori profuma l'aria..."
Così nel 1964, l'Aga Khan descriveva la Costa Smeralda, da lui "creata" e amata, a un giornalista.
Oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, molto è mutato del volto selvaggio di quell'angolo di paradiso, eppure esiste ancora quella che qualcuno chiama "un'isola nell'isola".



Il rosa e il grigio delle rocce granitiche scolpite da vento e acqua; le querce da sughero dalle forme contorte; la macchia mediterranea che inebria con i suoi profumi riempiendo gli occhi di colori che variano a seconda dei mesi e che emergono dalla tavolozza naturale fatta di lentisco, corbezzolo, elicriso, erica, mirto. Un dipinto che abbraccia anche l'oro delle spiagge e le trasparenze dell'acqua.
Benvenuti in Gallura, tra piccoli golfi, insenature e borghi sorprendenti, da assaporare lentamente.
Poco a sud della mondana Porto Cervo, ecco mosaici di sabbia lucente, massi di granito circondati da ginepri e pini marittimi dai nomi che attingono alla natura e a chissà quali storie, come spiaggia "del Pirata" e quella "delle Tartarughe".
.....
Tratto da un articolo di giornale.






sabato 18 luglio 2020

Vi propongo un BLOOG


Permettetemi di ricordarvi il BLOG di Tonini Alice  "I LIBRI DI ALICE  IL blog di chi ama i libri e la scrittura" dove, Alice, vi presenta tante e varie letture per questa estate; romanzi rosa, libri gialli, libri digitali, autori e molto altro.
Visitatelo e mi saprete dire!!!

giovedì 16 luglio 2020

Vi propongo una pagina di: IL SOGNO


..... Allora Angélique capì che, se avesse chiuso le labbra, sarebbe scoppiata a ridere. Povero ragazzo! La commuoveva molto; ma era una cosa irresistibile, era troppo felice, aveva un bisogno di ridere, di ridere tanto da rimanere senza fiato.
Infine, credette di poter parlare, volle dire semplicemente:
"Grazie, signore".



Ma il riso era tornato, il riso la fece balbettare, le toglieva la parola; e il riso risuonò molto alto: una pioggia di note il cui canto era appena coperto dall'accompagnamento cristallino della Chevrotte. Lui, sconcertato, non trovò niente da dire, non una parola. 



Il suo viso così bianco si era bruscamente imporporato; i suoi occhi da bambino timido si erano infiammati, come occhi d'aquila. E se ne andò, scomparve con il vecchio operaio mentre ella rideva ancora, chinata sull'acqua chiara, schizzandosi di nuovo nel risciacquare il bucato, nella radiosa felicità di quella giornata.



L'indomani fin dalle sei di mattina si stese il bucato, che sgoccilava dal giorno prima, e proprio allora si era alzato un gran vento che favoriva l'asciugatura. Per evitare che i panni venissero trascinati via fu persino necessario fermarlo con dei sassi ai quattro angoli.



Tutto il bucato era li steso, bianchissimo tra l'erba verde, impregnato del profumo delle piante; e il prato sembrava essersi improvvisamente coperto di una coltre nevosa di margherite.
.....
Da IL SOGNO di Emile Zola 1888





venerdì 10 luglio 2020

Estate al MARE

Il mare è un entità dinamica, il più maestoso e problematico fenomeno fisico della superficie terrestre, un architetto di paesaggi, un costruttore di panorami, del quale non è illecito scrivere una "biografia": etimologicamente una storia della sua vita.


Un paesaggio marino non si lascia afferrare a un piccolo colpo d'occhio.
Ci vuole tempo e numerosi sguardi
per coglierne le differenze, le costanti.


Nell'infinita estensione del mare,
nell'assoluta libertà del volo dei gabbiani
è racchiuso il significato più profondo
di questo particolare aspetto della natura.

La nostra stagione marinaresca, quando venne, non fu una stagione qualsiasi.
A parte la sua durata plurisecolare, fu così travolgente da superare ogni confronto.
I velieri delle Repubbliche trasmigravano a sciami, ogni primavera, verso l'Oriente, carichi di mercanzie attentamente vigilate dai mercanti, che, sempre presenti a bordo, oltre ad essere uomini d'affari erano anche capaci di maneggiare la spada e sapevano molte cose sulla navigazione.
Le isole greche dello Jonio e dell'Egeo, Rodi e Creta, fino alla lontana Cipro, le coste turche cosparse di città ricche e chiassose, dai colori sfarzosi e dagli odori penetranti, avevano empori genovesi, veneziani, insomma italiani, magazzini, bazar dove si parlavano i nostri dialetti.
Non basta.
Velieri audaci si spingevano attraverso i Dardanelli, oltre il Bosforo, sul Mar Nero, fino a Odessa e alla Crimea.
Altri mettevano la prua sulla Terra Santa, per stabilire il collegamento con le carovane provenienti dall'India e dalla Cina.
E questi viaggi avventurosi si ripetevano ogni anno, sempre più numerosi, sempre più redditizi; quando non si facevano, ben inteso, altre spedizioni, di carattere bellico; le flotte di Solimano il Magnifico veleggiavano immense e minacciose verso ovest, per colpire il Peloponneso o Malta, Tunisi o la Sicilia e bisognava contrastarle.
Viaggi di guerrieri, viaggi di mercanti: ogni estate si ripetevano gli episodi della stessa commedia umana ..... ( e si ripetono ancora)




Da "Italia mare" di Pietro Ottone e Gaetano Cafiero delle edizioni WHITE STAR 1991.

lunedì 6 luglio 2020

Estate in MONTAGNA

Il sentiero che sale si inerpica tra boschi e valloni, praterie alpine e torrenti gorgoglianti.
E poi il rifugio, come meta o solo per una sosta nel cammino, provvidenziale punto di appoggio per l'escursionista e l'alpinista.
Dove condividere momenti preziosi, inebriati dalle bellezze dei monti.


Camminare in montagna è più che un esperienza fisica:
coinvolge tutti i sensi,
lasciando la mente libera di immaginarsi nei silenzi
e nella contemplazione dei grandi spazi.

Meta di escursioni giornaliere, luoghi di sosta durante le traversate
o basi di lancio per difficili ascensioni,
i rifugi sono presidi importanti della montagna.
Tra le loro mura ci si sazia, si riposa,
si condividono informazioni ed esperienze.
E lo sconosciuto, anche solo per lo spazio di qualche ora,
diventa complice della stessa atmosfera.



Le Alpi, il grande arco di montagne al centro dell'Europa: 1200 chilometri di catena, dai ghiacciai delle Occidentali ai massicci calcarei che si distendono verso Est. 
Le fasce prealpine con gli altipiani carsici e le vaste praterie punteggiate da malghe e alpeggi; i valloni ricoperti di foreste; e, più su, oltre la vegetazione arborea, gli ambienti meno ospitali delle alte quote, tra gli specchi luminosi dei laghetti alpini, le morene, le pareti rocciose e i ghiacciai, fin sulle creste più affilate.
.....





Per conoscere e muoversi in sicurezza nella radiosa estate di questi ambienti maestosi...
Da "Sentieri e rifugi delle Alpi" collana MONTAGNE del Corriere della Sera 2018.

giovedì 2 luglio 2020

Vi propongo una pagina di: TRA DONNE SOLE


Arrivai a Torino sotto l'ultima neve di gennaio, come succede ai saltimbanchi e ai venditori di torrone. Mi ricordai ch'era carnevale vedendo sotto i portici le bancarelle e i becchi incandescenti dell'acetilene, ma non era ancora buio e camminai dalla stazione all'albergo sbirciando fuori dei portici e sopra le teste della gente. L'aria cruda mi mordeva le gambe e, stanca com'ero, indugiavo davanti alle vetrine, lasciavo che la gente mi urtasse, e mi guardavo intorno stringendomi nella pelliccia. 



Pensavo che ormai le giornate si allungavano, e che presto un po' di sole avrebbe sciolto quella fanghiglia e aperto la primavera.
Rividi così Torino, nella penombra dei portici. Quando entrai nell'albergo non sognavo che il bagno scottante e distendermi e una notte lunga. Tanto, a Torino ci dovevo stare un pezzo.



Non telefonai a nessuno e nessuno sapeva ch'ero scesa a quell'albergo, nemmeno un mazzo di fiori mi attendeva. La cameriera che mi preparò il bagno mi parlò, china sulla vasca, mentr'io giravo nella stanza. Sono cose che un uomo, un cameriere, non farebbe. Le dissi di andarsene, che bastavo da sola. La ragazza balbettò qualcosa, fronteggiandomi, scrollando le mani. allora le chiesi di  di dov'era.



Lei arrossì vivacemente e mi rispose ch'era veneta. "Si sente" le dissi "e io sono torinese. Ti farebbe piacere tornare a casa?"
Annuì con uno sguardo furbo.
"Fa' conto allora ch'io qui torno a casa" le dissi "non guastarmi il piacere."
......

Da Tra donne sole di CESARE PAVESE  1949



martedì 30 giugno 2020

Vi propongo una pagina di: LA BELLA ESTATE


A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e attraversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravamo ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, o magari venisse giorno all'improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare fino ai prati e fin dietro le colline. 



"Siete sane, siete giovani" dicevano "siete ragazze, non avete pensieri, si capisce." Eppure una di loro, quella Tina che era uscita zoppa dall'ospedale e in casa non aveva da mangiare, anche lei rideva per niente, e una sera, trottando dietro gli altri, si era fermata e si era messa a piangere perché dormire era una stupidaggine e rubava tempo all'allegria.



Ginia, se queste crisi la prendevano, non si faceva accorgere ma accompagnava a casa qualche altra e parlava parlava, finché non sapevano più cosa dire. Veniva così il momento di lasciarsi, che già da un pezzo erano come sole, e Ginia tornava a casa tranquilla, senza rimpiangere la compagnia.



Le notti più belle, si capisce, erano al sabato, quando andavano a ballare e l'indomani si poteva dormire. Ma bastava anche meno, e certe mattine Ginia usciva, per andare a lavorare, felice di quel pezzo di strada che l'aspettava. Le altre dicevano: "Se torno tardi, poi ho sonno; se torno tardi, me le suonano". Ma Ginia non era mai stanca, e suo fratello che lavorava di notte, la vedeva soltanto a cena, e di giorno dormiva
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Da La bella estate di CESARE PAVESE 1940





sabato 27 giugno 2020

Vi propongo una pagina di: IL DIAVOLO SULLE COLLINE




Eravamo molto giovani. credo che in quell'anno non dormissi mai. ma avevo un amico che dormiva meno ancora di me, e certe mattine lo si vedeva già passeggiare davanti alla Stazione nell'ora che arrivano e partono i primi treni.



L'avevamo lasciato a notte alta, sul portone; Pieretto aveva fatto un altro giro, e visto l'alba addirittura, bevendo il caffè. Adesso studiava le facce assonnate di spazzini e di ciclisti. Nemmeno lui ricordava i discorsi della notte: vegliandoci sopra, li aveva smaltiti, e diceva tranquillo: "Si fa tardi. Vado a letto".



Qualcuno degli altri, che ci trottava dietro, non capiva che cosa facessimo a una cert'ora, finito il cinema, finite le risorse, le osterie, i discorsi. Si sedeva con noi tre sulle panchine, ci ascoltava brontolare o sghignazzare, s'infiammava all'idea di andare a svegliare le ragazze o aspettare l'aurora sulle colline, poi a un nostro cambiamento di umore tentennava e trovava il coraggio di tornarsene a casa. l'indomani costui si chiedeva: "Che cos'avete poi fatto?".



Non era facile rispondergli. avevamo ascoltato un ubriaco, guardato attaccare i manifesti, fatto il giro dei mercati, visto passare delle pecore sui corsi. Allora Pieretto diceva: "Abbiamo fatto conoscenza con una donna".
L'altro non ci credeva ma restava interdetto.



"Ci vuole perseveranza" diceva Pieretto. "Si passa e ripassa sotto il balcone. Tutta la notte: lei lo sa, se ne accorge. Non c'è bisogno di conoscerla, se lo sente nel sangue. Viene il momento che non ne può più, salta dal letto, e ti spalanca le persiane. Tu appoggi la scala..."



Ma fra noi tre non si parlava volentieri di donne. Non, almeno, sul serio. Né Pieretto né Oreste mi dicevano tutto di se. Per questo mi piacevano. Le donne, quelle che separano, sarebbero venute più tardi. Per adesso parlavamo soltanto di questo mondo, della pioggia e del sole, e tanto ci piaceva che andare a dormire ci pareva di perdere davvero tempo.
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Da il Diavolo sulle colline di CESARE PAVESE 1948





Vi presento i "Vi propongo.....

Nei tre post che seguono vi presento un libro OSCAR MONDADORI; "LA BELLA ESTATE", che raccoglie tre romanzi brevi di Cesare Pavese
Vi proporrò la prima pagina di ogni romanzo di modo che abbiate una buona panoramica di quel che contiene in caso vi venga voglia di leggerlo o comperarlo. 
Tutti i "Vi propongo una pagina di...." sono trascritti con lo scopo di darvi una presentazione della lettura che andrete a fare nel caso vogliate acquistarlo, sperando vi sia utile, in più li "abbellisco" con una piccola raccolta di immagini che io ritengo inerenti a una qualche strofa del racconto.
Grazie della vostra amicizia e buona lettura!


CARLA

giovedì 25 giugno 2020

"Sperando" nella pioggia

Oggi vi trascrivo una pagina da 
NATURA MERAVIGLIOSA Vita del mondo animale e vegetale di PAOLO SEGNALI edito da La Scuola nel 1967
Un altro bel libro sulla natura dedicato ai ragazzi dove la natura è raccontata come un romanzo e accompagnato dalle belle illustrazioni di Gaetano Proietti.



Da più settimane il sole mandava luce e calore in un cielo implacabilmente sereno.
Le erbe, lontane dal rigagnolo, cominciavano a soffrire la sete; i fiori appassito reclinavano la corolla giù verso terra, quasi a chiedere il vitale umore.
L'erbe delle rive sopportavano la calura con minori disagi, mentre gli alberi, figgendo le loro radici profondamente nel terreno, parevano sfidare il sole. Ma anche le acque del rigagnolo andavano scemando, e un vero disastro si veniva annunciando nel regno dei vegetali.



- Chiudete tutti gli stormi delle foglie, se non volete che la poca umidità, che sale a voi dalla terra, evapori - consigliò paternamente le Quercia.
Ma poco ristoro poteva venire alle erbe, anche seguendo il prudente consiglio, perché la terra andava screpolandosi qua e là e mostrava profonde ferite e squarci dolorosi, come nella carne viva.
Solo la notte portava qualche refrigerio; scendeva abbondante la rugiada e tutte le foglie bevevano coi loro coi loro stomi spalancati il provvidenziale umore. Nuovo vigore tornava agli inariditi steli, che si risollevavano e tendevano alla luna i loro sospiri, perché la notte si prolungasse e prodigasse i suoi favori in abbondanza.



Ma la luna proseguiva il suo viaggio e declinava verso occidente.
L'alba, annunciata dal canto dei galli, imbiancò di nuovo l'oriente, ed il primo raggio di sole inondò di sua luce la pianura.
Ma non fu accolto con un brivido di piacere dalla moltitudine delle piante, le quali già al primo suo bacio sentivano esalare la vita. Sino a quando? Sino a quando?
- Piccole sorelle del prato, una buona notizia. Vedo ai limiti dell'orizzonte raccogliersi i vapori in nubi leggere, leggere. Speriamo.
- Acqua! acqua... O Quercia, le disperde il vento quelle nubi?
- No, no... le spinge alla nostra volta... Speriamo.
- Si, speriamo... non ci resta che la speranza.
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martedì 23 giugno 2020

Marmellata di PAPAVERI

Da un bellissimo, originalissimo,  manuale di cucina eccovi la ricetta di una marmellata estiva:


Marmellata di papaveri 

Mettete al fuoco quattro mele renette dopo averle lavate con cura e tagliate a pezzi ma senza sbucciarle o privarle del torsolo, insieme a un bicchiere di acqua.
Farle cuocere per circa venti minuti poi passarle al passaverdure.
Preparare uno sciroppo denso mettendo su fuoco basso un chilo di zucchero e un bicchiere d'acqua.
Quando comincia a bollire unite il purè di mele e il succo di un piccolo limone.
Lasciate cuocere e intanto ridurre in pasta in un mortaio o nel frullatore 350 grammi di petali di papavero da unire subito alla marmellata.
Mescolare bene e cuocere circa 20 minuti poi invasare a caldo.
Tappare ermeticamente i barattoli.

Di Lina Marenghi CUCINARE COI FIORI centouno ricette profumate 1997 


venerdì 19 giugno 2020

Estate tra CAMPAGNA e FIUMI

Ho viva nella mia memoria la bellezza della campagna veneta, con le grandi case, abitate da famiglie patriarcali, con le stalle fitte d'animali, e i campi vicini a portata di mano dei lavoratori; ancora mi risuona il fragore delle trattrici che giorno e notte aravano per la semina nel timore di non arrivare a tempo, e donne e uomini erano tutti sui campi ad attendere al grande rito.
Da uno scritto di Giovanni Comisso


A chi lo osservi da un finestrino di una vettura in corsa, il paesaggio della pianura lombarda delle province affacciate al corso del Po, vale a dire Pavia, Lodi, Cremona, Mantova, a tutta prima potrebbe sembrare monotono e piatto, per il ripetersi di forme quasi modulari che si susseguono per spazi amplissimi.
Questa opinione, peraltro diffusa, coglie tuttavia solo l'aspetto macroscopico di un territorio che, invece, si presenta sottilmente diverso da zona a zona, a patto che lo si osservi con la necessaria attenzione e se ne valutino i secolari processi evolutivi, di cui solitamente consideriamo solo gli esiti attuali.
Avendone la possibilità, il mezzo migliore per apprezzare la minuta variabilità e saggiare concretamente il microrilievo, tutt'altro che uniforme, di questi territori sarebbe la bicicletta.
Allora diverrebbero più sensibili non solo gli evidenti salti morfologici che definiscono le valli di pianura dei numerosi fiumi - tutti affluenti o subaffluenti del Po -, ma si constaterebbe quanto ricca di accidenti morfologici - dossi e avvallamenti - sia la stessa campagna lombarda.
.....     




Il termine "cascina" si trova largamente diffuso, in varie versioni e secondo le diverse epoche (capsina, caxina, cassina) e con dizioni diverse secondo le regioni (cassina in Lombardia, casina in Piemonte, casena in Romagna) in tutta la pianura Padana.
Indica una delle architetture più tipiche - forse, la più tipica - dell'edilizia agricola di queste zone: una vasta struttura, generalmente a corte chiusa, che racchiude tutte le specializzazioni e gli edifici adatti alla conduzione di un grande fondo agricolo.
I suoi antenati sono forse da ricercarsi nel castello di pianura, a pianta quadrangolare, e nelle "grange" delle abitazioni medievali.
Ma rispetto a queste la cascina è una struttura più tarda: i primi esempi risalgono al 
Sei-Settecento, la maggior parte è stata costruita nell'Ottocento.
L'organizzazione interna è complessa. Comprende la casa dominicale, per il padrone del fondo (o, più frequentemente, per il suo fittavolo); le abitazioni dei salariati, rigidamente divise secondo le competenze, dal "camparo" che funge da capoccia per il lavoro nei campi fino al "bazzolone" (il cuoco), ai "bifolchi" e "sottobifolchi" (i contadini), allo "strapazzone", l'uomo di fatica tuttofare.
Ci sono poi la caneva, vale a dire la cantina; il locale per il torchio delle uve; le dispense; la lavanderia; il forno per il pane; il caseificio, con i locali adibiti alla cottura del latte; l'aia per la trebbiatura; i ricoveri per gli animali: stalle, fienili, depositi, concimaie, porcilaie, portici per la stabulazione estiva.
Insomma una vera e propria azienda autosufficiente, gerarchicamente organizzata.
Non manca nemmeno, nelle più grandi, la cappella.
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Da "Cascine della pianura padana" LOMBARDIA di Selezione R.D. 2002





mercoledì 17 giugno 2020

Vi propongo una pagina di: LE CHIAVI DEL REGNO



Dopo il ritorno a Paitan, subentrato l'inverno, francesco, aiutato da Giuseppe, rabbrecciò la stalla otturando le crepe con fango e caolino. Due assi puntellavano la parete più instabile. Sul pavimento di terra battuta un braciere di ferro di forma piatta faceva da focolare. Giuseppe, al quale non mancava l'appetito, aveva già messo assieme un'interessante collezione di pentole e terrine. 


Si era fatto meno angelico, ora, e Francesco lo trovava ogni giorno più utile. Chiacchierone per natura, era sensibile alle lodi, e gli piaceva far certi colpetti, come per esempio sgraffignare qualche melone dai bancherottoli del mercato.


Francesco era sempre deciso a non abbandonare il suo abituro. Del resto, a poco a poco, qualche pecorella aveva cominciato timidamente a comparire nella cappellina in via dei Fabbricanti di Reti. Prima fu una vecchia cenciosa e vergognosa con una coroncina furtivamente estratta dal sacco che le serviva da paltò. Il viso aveva un espressione così spaventata da dar l'idea che sarebbe bastata una parola per farla scappare. Francesco finse di non vederla. La mattina dopo la vecchia comparve con sua figlia.


La malinconica carenza di seguaci non scoraggiò Francesco, né intaccò la sua ferrea decisione di non comperare mai con denaro la fede dei convertiti.
Il dispensario invece fioriva. Per molti segni risultava che l'assenza di Francesco era stata sentita. Rientrando trovò ad attenderlo davanti al negozio di Hung un'accozzaglia di gente. 


L'esercizio medico gli aveva certamente giovato, ora si sentiva più franco e sperimentato. Venivano a farsi visitare malati delle specie più disparate, molti di pelle, altri affetti da coliche, tosse, enteriti; altri da orribili suppurazioni agli occhi e alle orecchie, per lo più conseguenza della sporcizia e dell'eccessivo affollamento in locali malsani. La pulizia e semplici medicamenti diedero risultati sorprendenti. Un grano di permanganato di potassio era oro per quella gente.

Da Le chiavi del regno di A. J. CRONIN 1962