martedì 7 maggio 2024

Camminata attraverso la campagna lombarda

 L'arrivo di 5 nuovi scatoloni di libri "usati" mi ha distolto da quei vecchi libri di narrativa che vi ho presentato in alcuni post precedenti. Questi sono per lo più libri e libroni su: Mantova e provincia, Lombardia e ARTE. Un buon acquisto" intellettuale" se siete appassionati di questi generi.
Comincio col presentarvene uno (naturalmente tra i miei preferiti): 



Terre di Lombardia di Pepi Merisio Carlo Castellaneta
distribuito dal CREDITO COMMERCIALE nel 1990
Io, come al solito, non so riportarvi le immagini presenti sul libro ma vi ricordo che le foto di PEPI MERISIO sono "piccoli sogni".
Di CARLO CASTELLANETA è invece la parte scritta, compreso il pezzetto che trascrivo oggi.


Mi succede quasi sempre, attraversando la campagna lombarda in treno o in automobile, e notando l'avanzata inarrestabile delle costruzioni, di domandarmi se esista ancora una campagna, nel senso che si attribuisce a questa parola, e quanto durerà quella che ci è rimasta.

Pepi Merisio FOTOGRAFO
Nato a Caravaggio nel 1931 morto nel 2021

Non occorre, infatti, un particolare spirito di osservazione per rilevare quanto sia divenuto massiccio il proliferare del cemento armato (capannoni industriali, stazioni di rifornimento, giganteschi supermarket, impianti petroliferi, cementifici, depositi e magazzini d'ogni specie e grandezza) anche là dove il terreno era da sempre spazio coltivato o boscaglia naturale.
Nei casi più accettabili, cioè dove il verde ha lasciato il posto a case e casette per semplici esigenze abitative, si resta sconcertati dalla leggerezza con cui si fa scempio ogni giorno del nostro paesaggio. Per innalzare un edificio basta un anno ma per far crescere un albero ci vogliono decenni. Eppure questa verità elementare sembra non trovare accoglienza nella mentalità dei costruttori come nei programmi degli imprenditori.
Dove c'erano una macchia folta di selvaggina fumano adesso dei comignoli. Dove sorgeva un pioppeto si aprono ora campi di tennis. e l'amena collinetta che si stagliava a un certo punto della strada è stata spianata dalle ruspe per costruire un condominio di villini a schiera.

Carlo Castellaneta Scrittore giornalista
 Nato a MILANO nel 1930 morto nel 2013

A volte capita di non riuscire nemmeno più a riconoscere la strada che stiamo percorrendo, se vi passiamo a qualche anno di distanza: di non trovare più certi punti di riferimento (una forra, un cascinale, una carraia che si innoltrava nei campi) perché il paesaggio stesso è stato alterato, modificato dall'uomo in modo per lo più avvilente e comunque sempre in peggio.
Per no parlare dei tabelloni pubblicitari che , lungo la strada, addirittura nascondono con le loro volgari superfici la vista dei prati e degli alberi, il profilo di un monte o il panorama di un paesello.

E mi fermo qui.....



sabato 4 maggio 2024

Librisottoiportici

Io domani sarò al mio solito posto (fronte chiesa) voi fate un giro tra le bancarelle e le migliaia di libri e venite a salutarmi.!

mercoledì 1 maggio 2024

BUON PRIMO MAGGIO

 Maggio mese di Maria. Maggio mese delle rose a lei dedicate. Per la verità è già da un po' che le rose son fiorite, il meteo di questi ultimi tempi fa fare un po' di confusione tra le stagioni ai vegetali e agli animali. 
Oggi vi trascrivo qualche curiosità sulle rose dal bellissimo libro: Il linguaggio dei fiori di LAURA PERONI con tavole (stupende) di MARILENA PISTOIA edito dalla MONDADORI nel 2006.


ROSA

Per greci e romani - e in seguito, nel Medioevo anche per germani, francesi e inglesi - simbolo di omertà e promessa di segretezza era il motto sub rosa.
I generali greci, nel 479 avanti Cristo, per pianificare in gran segreto il vittorioso contrattacco a Serse, re persiano, si erano raccolti in un boschetto di rose. Nulla essendo trapelato della loro presenza, da allora quei fiori erano diventati emblema del riserbo.

TIPO DI PIANTA: rosacee.
Arbusti, decidui, più o meno spinosi,
con portamento ramificato, cespuglioso,
sarmentoso o prostrato. 

Nel 420 avanti Cristo, Mida, re di Frigia, nell'Asia Minore, esiliato in Macedonia, aveva ottenuto di andarsene con la sua collezione di rose. Il botanico che ne dà notizia riferisce che la più sensazionale era una varietà a lui sconosciuta, con sessanta petali e profumatissima.

ALTEZZA: da 20 a 30 cm fino a 5-6 metri,
secondo le varietà.
TERRENO: da giardino, non argilloso o sabbioso,
 ben drenato, e ben concimato con letame maturo.

Del periodo classico vanno ricordati due poeti, senz'altro i primi a parlare di rose: Teocrito di Siracusa, fondatore della scuola greca di poesia pastorale, nel 300 a.C. che ha poi decantato la bellezza dei giardini di rose, e Saffo, che dall'isola di Lesbo, precedendolo, nell'ottavo secolo avanti Cristo, era stata la prima poetessa a celebrare la rosa in versi.

UMIDITA': innaffiare regolarmente durante la fioritura.
ESPOSIZIONE: soleggiata e riparata dai venti.
CLIMA: temperato, anche freddo.

L'abitudine che ancora abbiamo di piantare rose vicine alle tombe ha origini antichissime, ed è sempre stata ritenuta un omaggio prezioso ai defunti.
Ad alcuni monaci, dopo la caduta dell'impero romano, si deve se molte varietà di rose sono sopravvissute; a lungo gli unici a coltivarle erano stati loro, fino a quando Carlo Magno (alla fine dell'ottavo secolo), con una disposizione che regolava i territori della corona, aveva ordinato la coltivazione di un buon numero di piante, tra cui gigli e rose. Probabilmente erano tra le rose di quei tempi: la canina, la gallica e la alba molto considerate per le proprietà medicamentose.

EPOCA DI FIORITURA: maggio- giugno
 e fino a settembre per le varietà rifiorenti.
I fiori, molto appariscenti e profumati,
di diverse dimensioni, semplici o doppi, 
hanno colore bianco, rosa, giallo, arancio, rosso,
porpora in tutte le loro sfumature,
e possono essere singoli o a mazzetti.

E' un poema allegorico il Romanzo della rosa nella prima versione uscita nel 1236. Narra del sogno di un giovane innamorato che spera di conquistare l'oggetto del suo amore, quando questo gli appare sotto forma di rosa. Nel lungo elenco di vicende che la coinvolgono e di cui è protagonista, non è possibile rintracciare un solo episodio in cui la rosa venga denigrata.







lunedì 29 aprile 2024

La pittura come cura


Questa pagina l'avevo preparata da pubblicare l'estate scorsa ma i miei soliti "attacchi di pigrizia acuta" me l'hanno fatta scordare. L'ho ritrovata e ve la pubblico ora. Come avrete avuto modo di capire  questo scrittore e questo libro non mi dispiacciono dato che già altre volte ve li ho presentati: 
La bellezza non svanira di A.J. Cronin


"Ditemi, figliolo, che cosa vi proponete di fare."
"Vorrei dipingere un affresco sopra l'altare, sulla parete di fondo dell'abside."
"Un soggetto religioso?"
"Naturalmente. Pensavo alla Trasfigurazione. Farebbe sembrare più luminosa l'intera cappella."
"Siete proprio certo di poter dipingere qualcosa che noi approveremmo?"
"Ci proverei. Non ho colori, né pennelli, grandi abbastanza, e dovreste procurarmeli. Sareste, insomma, costretti a fidarvi di me. Ma se sarà così, vi prometto che farò del mio meglio."
La mattina dopo, due dei padri partirono per Garonde e tornarono, la sera, con vari pacchi avvolti in carta marrone. Nel frattempo, i novizi avevano eretto una leggera impalcatura di legno dietro l'altare. Nelle prime ore del giorno successivo, con l'eccitazione che provava sempre all'inizio di un lavoro, Stephen incominciò a dipingere.



Ma il suo stato d'animo era molto inconsueto. Fisicamente fiacco, non era ancora uscito del tutto dalla spossatezza della convalescenza, sembrava immerso in una languida mollezza. Era in preda a instabili ondate di affettività e gli occhi gli si riempivano facilmente di lacrime.
L'atmosfera della cappella, i cori dei monaci, la sensazione di essere staccato dal mondo, inducevano in lui sentimenti del tutto estranei alla sua indole. Benché non disponesse di modelli, l'affresco incominciò a delinearsi con una facilità sorprendente per chi era assuefatto a una tensione quasi intollerabile nelle prime ore dello sforzo creativo. Già aveva abbozzato la figura centrale del Signore, in candidi paludamenti, radioso in una nube di luce, e cominciava a delineare le figure di Mosè e di Elia.



Mentre progrediva con tanta facilità nel lavoro, sperimentò strani momenti di scoraggiamento, durante i quali si domandava se, anziché trasporre nell'affresco le proprie idee, non stesse riproducendo, inconsciamente, un mosaico di antichi dipinti religiosi. Sotto forma di tempera, i colori, di solito così violenti, erano morbidi e piatti, le forme sembravano convenzionali in misura inquietante. Pure, contro tali dubbi si schierava la crescente approvazione della comunità.




sabato 27 aprile 2024

Passeggiata fuori le mura (di Firenze)

E per finire la nostra passeggiata d'Aprile eccovi la pagina  di un libro "particolare"; una raccolta di ricordi d'infanzia dello scrittore-poeta G. Papini a cura della figlia Viola.





1965 edizione SEI-TORINO
 Il muro di gelsomini RICORDI DI FANCIULLEZZA di Giovanni Papini

Tutte le domeniche, a meno che non diluviasse, mio padre mi portava con sé in campagna.
Poco dopo il desinare del mezzogiorno, anche se la neve copriva il mondo o se la terra ribolliva sotto le vampe feroci del solleone, mio padre si metteva il cappello e mi chiamava. Si scendeva dal nostro ultimo piano nella strada deserta e via, di buon passo, verso una delle pietrose porte della città che si spalancavano, allora, verso il verde e il silenzio.


Non mi diceva mai dove si sarebbe andati quel giorno ma sapevo che mio padre sceglieva sempre i luoghi più solitari e selvatici; quelli che serbavano ancora, nonostante le tracce dell'uomo, alcunché di rustico, di selvoso e di primitivo. Non pensavo, allora, che mio padre fosse un poeta. 



Me ne accorsi molto tempo dopo, quando non c'era più, ed io ricordavo le sue fermate cogitabonde dinanzi all'improvviso aprirsi di una valle felice, di un prato selvaggiamente fiorito, di un borro scuro dove l'acqua scherzava e scrosciava tra i massi borraccinosi. Coglieva, qualche volta, una rosa di macchia o un papavero rosso e, dopo averli guardati un momento con i suoi melanconici occhi grigiazzurri, li porgeva a me, come un tacito insegnamento di ammirazione.



Di rado mi rivolgeva la parola ma rispondeva giovialmente ai saluti dei rari campagnoli che s'incontravano in quelle stadicciole fuor di mano. m'insegnava, però, i nomi dei fiori e degli alberi più comuni e qualche volta, specie di primavera, quando il cielo era più celeste e l'aria più dolce, si soffermava per recitarmi, con la sua bella voce di cantante mancato, certi versi di Dante e di Foscolo, che non sempre capivo ma che non ho mai dimenticato.