domenica 31 dicembre 2017
sabato 30 dicembre 2017
venerdì 29 dicembre 2017
E la testa che pensa....
Non mi piace la perdita di profondità.
restiamo in superficie a galleggiare in un mondo sempre più difficile, in cui dovremmo insegnare ai giovani a scendere in loro stessi, ad amare il pensiero.
Lo studio è coltivare lo spirito, smanettare su Internet è un'altra cosa.
Internet è meraviglioso, è entrato nella nostra vita e non ne uscirà più, ma non è il caso di usarlo sei ore al giorno a scuola,
Lo studio è una scrivania, un libro aperto, il gomito sul tavolo e la testa appoggiata che pensa.
Da un intervista di Famiglia Cristiana alla scrittrice e insegnante Paola Mastrocola alla domanda "Che cosa non le piace della scuola di oggi?"
mercoledì 27 dicembre 2017
Consigli per chi è allergico ai libri
Riporto qui di seguito un breve articolo trovato sfogliando il settimanale FAMIGLIA CRISTIANA.
Alberto Pellai risponde a una mamma preoccupata dalla mancanza di interesse della figlia per la lettura.
Se anche i vostri famigliari soffrono di allergia ai libri qui trovate qualche buon consiglio.
Consigli per "curare" chi è allergico alla lettura
Ho una figlia di 12 anni che detesta leggere. All'inizio pensavo che lo facesse per farmi dispetto. Ora penso proprio che questo sia un tratto del carattere di mia figlia difficile da cambiare: non ha mai in mano un libro.
Le ho provate tutte: l'ho portata in biblioteca, fatto giochi e corsi di lettura... nulla.
Esistono libri di poche pagine ma dai contenuti interessanti o curiosi per la sua età? Credo che questa sia la mia ultima carta.
L'epidemia da "mancanza di voglia di leggere" è molto diffusa. Hai ragione a rattristartene, perché un buon libro in preadolescenza rappresenta una splendida compagnia. Un libro aiuta il cervello in fase di maturazione a stare su uno stimolo "più faticoso" rispetto alle attività di "surfing mentale" che i giovanissimi oggi usano per divertirsi e passare il tempo (videogiochi, social network, YouTube).
Lo scrive anche lo psichiatra Paolo Crepet nel nuovo libro Baciami senza rete (Mondadori), dove afferma: "I tempi del romanzo non si addicono a una mente formata non per sedimentare conoscenza specifica, ma per fare surfing mentale, per accumulare il più velocemente possibile informazioni di ogni tipo".
I libri non servono a questo, perché, se ben scelti, raccontano storie complesse che permettono ai ragazzi di identificarsi coi protagonisti, sviluppando pensiero critico e capacità di soluzione dei problemi. Anche le serie fantasy, che i preadolescenti amano molto, seppur lontane anni luce dal principio di realtà, mostrano ragazzi e ragazze alle prese con sfide evolutive complesse e spesso affermano valori innegabili come amicizia e coraggio, lealtà e cooperazione.
Di fronte a una figlia preadolescente, resistente alla lettura, la prima alleanza potrebbe essere con la scuola. Verifica con il docente di italiano se tua figlia (e in tutta la sua classe) può essere stimolata questa competenza anche attraverso i programmi scolastici. In molte scuole medie vengono scelti libri divertenti e interessanti che progressivamente coinvolgono gli studenti nella lettura e nell'attesa di sapere come andrà a finire.
Due titoli indicati per i dodicenni sono IL segreto di Lisbeth di M. Miller (De Agostini) e Imperfetti di L. Ballerini (Il Castoro).
Un altro espediente potrebbe consistere nel cercare in libreria libri sui personaggi preferiti da tua figlia: artisti, cantanti, sportivi. Ovvero testi che raccontano la storia di persone che lei ammira molto. In questo caso la passione per un personaggio pubblico potrebbe facilitare e rendere molto naturale, per tua figlia allergica ai libri, ritrovarsi con un volume tra le mani e coinvolgersi in modo emozionante e attivo in qualcosa che lei reputa faticoso, ma che con questo piccolo trucco potrebbe invece diventare affascinante.
Alberto Pellai risponde a una mamma preoccupata dalla mancanza di interesse della figlia per la lettura.
Se anche i vostri famigliari soffrono di allergia ai libri qui trovate qualche buon consiglio.
Consigli per "curare" chi è allergico alla lettura
Antonio Mancini - Scolaro che porta i libri |
Le ho provate tutte: l'ho portata in biblioteca, fatto giochi e corsi di lettura... nulla.
Esistono libri di poche pagine ma dai contenuti interessanti o curiosi per la sua età? Credo che questa sia la mia ultima carta.
L'epidemia da "mancanza di voglia di leggere" è molto diffusa. Hai ragione a rattristartene, perché un buon libro in preadolescenza rappresenta una splendida compagnia. Un libro aiuta il cervello in fase di maturazione a stare su uno stimolo "più faticoso" rispetto alle attività di "surfing mentale" che i giovanissimi oggi usano per divertirsi e passare il tempo (videogiochi, social network, YouTube).
Lo scrive anche lo psichiatra Paolo Crepet nel nuovo libro Baciami senza rete (Mondadori), dove afferma: "I tempi del romanzo non si addicono a una mente formata non per sedimentare conoscenza specifica, ma per fare surfing mentale, per accumulare il più velocemente possibile informazioni di ogni tipo".
I libri non servono a questo, perché, se ben scelti, raccontano storie complesse che permettono ai ragazzi di identificarsi coi protagonisti, sviluppando pensiero critico e capacità di soluzione dei problemi. Anche le serie fantasy, che i preadolescenti amano molto, seppur lontane anni luce dal principio di realtà, mostrano ragazzi e ragazze alle prese con sfide evolutive complesse e spesso affermano valori innegabili come amicizia e coraggio, lealtà e cooperazione.
Di fronte a una figlia preadolescente, resistente alla lettura, la prima alleanza potrebbe essere con la scuola. Verifica con il docente di italiano se tua figlia (e in tutta la sua classe) può essere stimolata questa competenza anche attraverso i programmi scolastici. In molte scuole medie vengono scelti libri divertenti e interessanti che progressivamente coinvolgono gli studenti nella lettura e nell'attesa di sapere come andrà a finire.
Due titoli indicati per i dodicenni sono IL segreto di Lisbeth di M. Miller (De Agostini) e Imperfetti di L. Ballerini (Il Castoro).
Un altro espediente potrebbe consistere nel cercare in libreria libri sui personaggi preferiti da tua figlia: artisti, cantanti, sportivi. Ovvero testi che raccontano la storia di persone che lei ammira molto. In questo caso la passione per un personaggio pubblico potrebbe facilitare e rendere molto naturale, per tua figlia allergica ai libri, ritrovarsi con un volume tra le mani e coinvolgersi in modo emozionante e attivo in qualcosa che lei reputa faticoso, ma che con questo piccolo trucco potrebbe invece diventare affascinante.
Antonio Mancini - Bambino che legge |
E' Natale
E per finire dopo tanti AUGURI diversi, per accontentare le persone più diverse:
ecco gli auguri finali... per tutti voi
A chi ama la natura, |
A chi ama l'arte, |
A chi ama il buon cibo, |
A chi ama gli animali, |
A chi ama i "doni" dell'inverno |
A chi è particolarmente religioso, |
A tutti i bambini, |
domenica 24 dicembre 2017
Le Spezie
E dopo la natura, l'arte, il cibo, i santi e gli animali gli auguri di oggi hanno un aroma speciale; quello delle SPEZIE.
Eccovi dunque qualche curiosità tratta da L'ARTE DEL BIEDERMEIER:
Con il pepe si pagavano le tasse. Erano pesate su bilance destinate all'oro.
Chiamate droghe, cioè "cose essiccate" , insaporivano i cibi, facilitavano la digestione, profumavano l'aria, conservavano gli alimenti.
Per digerire un pranzo abbondante assicurano che è sufficiente una tazza di brodo vegetale con una spolverata di pepe. Un soffio di cannella e due chiodi di garofano bolliti in una tazza di acqua per tre minuti costituiscono un rimedio contro il raffreddore. Filtra la bevanda e aggiungi un cucchiaio di miele e uno di succo di limone.
Un solo chiodo di garofano profuma una pentola di brodo, tiene lontano le tarme dagli armadi, aromatizza un buon bicchiere di vino caldo.
I Mandarini, che amministravano le province dell'impero cinese durante l'epoca Ming, masticavano chiodi di garofano per profumarsi l'alito prima di rivolgere le parola all'imperatore o incontrare l'amante.
Un'arancia insieme ai chiodi di garofano si riteneva capace di eliminare ogni rischio di contagio.
Per purificare l'aria brucia una mistura di cardamomo, cannella e curcuma.
"Apriti sesamo" è stata a lungo la parola magica che ha aperto magnifici forzieri.
La cannella è la scorza di un albero alto una decina di metri, coltivato nei paesi tropicali.
La corteccia degli alberi più giovani viene raschiata dallo strato sugheroso e arrotolata su se stessa in modo da formare dei cilindri, infilati uno nell'altro in numero di dieci.
I rotoli vengono essiccati all'ombra.
Cannella è il diminutivo di canna.
Eccovi dunque qualche curiosità tratta da L'ARTE DEL BIEDERMEIER:
ORO INCENSO MIRRA... SESAMO PEPE CANNELLA ANICE EBANO
Preziose come l'oro, le spezie possedevano fino a sei o sette secoli fa un eccezionale valore. arrivavano dall'Oriente ed erano rare. Si giunse a chiudere le finestre perché il vento non disperdesse un soffio del loro aroma.Con il pepe si pagavano le tasse. Erano pesate su bilance destinate all'oro.
Chiamate droghe, cioè "cose essiccate" , insaporivano i cibi, facilitavano la digestione, profumavano l'aria, conservavano gli alimenti.
Per digerire un pranzo abbondante assicurano che è sufficiente una tazza di brodo vegetale con una spolverata di pepe. Un soffio di cannella e due chiodi di garofano bolliti in una tazza di acqua per tre minuti costituiscono un rimedio contro il raffreddore. Filtra la bevanda e aggiungi un cucchiaio di miele e uno di succo di limone.
Un solo chiodo di garofano profuma una pentola di brodo, tiene lontano le tarme dagli armadi, aromatizza un buon bicchiere di vino caldo.
I Mandarini, che amministravano le province dell'impero cinese durante l'epoca Ming, masticavano chiodi di garofano per profumarsi l'alito prima di rivolgere le parola all'imperatore o incontrare l'amante.
Un'arancia insieme ai chiodi di garofano si riteneva capace di eliminare ogni rischio di contagio.
Per purificare l'aria brucia una mistura di cardamomo, cannella e curcuma.
"Apriti sesamo" è stata a lungo la parola magica che ha aperto magnifici forzieri.
La cannella è la scorza di un albero alto una decina di metri, coltivato nei paesi tropicali.
La corteccia degli alberi più giovani viene raschiata dallo strato sugheroso e arrotolata su se stessa in modo da formare dei cilindri, infilati uno nell'altro in numero di dieci.
I rotoli vengono essiccati all'ombra.
Cannella è il diminutivo di canna.
sabato 23 dicembre 2017
Il PETTIROSSO
Le cartoline di Natale sono spesso rallegrate da piccoli uccellini. Merli, passerotti, cince e pettirossi sono gli uccellini che d'inverno ci rimangono vicini ed è di uno di loro che scrivo oggi.
Da Guida agli uccelli d'Europa:
IL Pettirosso
Il Pettirosso la sa lunga in tema d'opportunismo. Da diversi anni ha scoperto la città come luogo in cui passare l'inverno, e i giardini sono una specie di surrogato del bosco da cui proviene. Pur nutrendosi normalmente di insetti, d'inverno non disdegna le briciole delle torte e addirittura del pane. Con quella livrea rosso-arancione, poi, attira irresistibilmente le simpatie della gente. Tutti lo ammirano e lo trattano bene, ma il Pettirosso non ha carattere facile. Sotto l'aspetto docile e aggraziato si nasconde uno dei temperamenti più aggressivi che si conoscano tra gli uccelli. Se vede un suo simile nel territorio, dopo averlo minacciato emettendo il suo canto, arriva ad avventarglisi contro. Questo vivace uccello difende il suo territorio tutto l'anno, anche se d'inverno, ovviamente, con minore intensità che in periodo riproduttivo. Si spiega così perché questa specie è una delle pochissime che fanno sentire il loro canto anche nei mesi invernali. Di primavera il Pettirosso compie una migrazione verticale, spostandosi cioè ad altitudini più elevate per riprodursi. Depone 5-7 uova in una cavità che abbia un'apertura anteriore.
La mancanza di timidezza gli gioca a volte brutti scherzi. Proprio l'eccessiva sicurezza di sé lo fa curioso e anche poco timoroso delle insidie cittadine. Non vola via al minimo segnale di pericolo (del resto non ha l'agilità delle cince) e spesso staziona a lungo, guardandosi attorno, anche in zone da cui sarebbe meglio girare alla larga, per esempio nei luoghi frequentati dai gatti. Se si considera che anche il colore del petto può essere un segnale attraente per i predatori, si capisce perché il Pettirosso finisce spesso tra le fauci dei felini domestici.... purtroppo.
Da Guida agli uccelli d'Europa:
IL Pettirosso
Il Pettirosso la sa lunga in tema d'opportunismo. Da diversi anni ha scoperto la città come luogo in cui passare l'inverno, e i giardini sono una specie di surrogato del bosco da cui proviene. Pur nutrendosi normalmente di insetti, d'inverno non disdegna le briciole delle torte e addirittura del pane. Con quella livrea rosso-arancione, poi, attira irresistibilmente le simpatie della gente. Tutti lo ammirano e lo trattano bene, ma il Pettirosso non ha carattere facile. Sotto l'aspetto docile e aggraziato si nasconde uno dei temperamenti più aggressivi che si conoscano tra gli uccelli. Se vede un suo simile nel territorio, dopo averlo minacciato emettendo il suo canto, arriva ad avventarglisi contro. Questo vivace uccello difende il suo territorio tutto l'anno, anche se d'inverno, ovviamente, con minore intensità che in periodo riproduttivo. Si spiega così perché questa specie è una delle pochissime che fanno sentire il loro canto anche nei mesi invernali. Di primavera il Pettirosso compie una migrazione verticale, spostandosi cioè ad altitudini più elevate per riprodursi. Depone 5-7 uova in una cavità che abbia un'apertura anteriore.
La mancanza di timidezza gli gioca a volte brutti scherzi. Proprio l'eccessiva sicurezza di sé lo fa curioso e anche poco timoroso delle insidie cittadine. Non vola via al minimo segnale di pericolo (del resto non ha l'agilità delle cince) e spesso staziona a lungo, guardandosi attorno, anche in zone da cui sarebbe meglio girare alla larga, per esempio nei luoghi frequentati dai gatti. Se si considera che anche il colore del petto può essere un segnale attraente per i predatori, si capisce perché il Pettirosso finisce spesso tra le fauci dei felini domestici.... purtroppo.
- 2 a Natale
Meno due
Oggi gli auguri di Natale
vi arrivano direttamente sul davanzale,
dove viene a posarsi un uccellino
dal petto turchino
e dal fare monello.
Porta nel becco un ramoscello
di bacche porporine
e chiede, in cambio, poche bricioline.
Viene per augurare.....
un BUONISSIMO NATALE
Oggi gli auguri di Natale
vi arrivano direttamente sul davanzale,
dove viene a posarsi un uccellino
dal petto turchino
e dal fare monello.
Porta nel becco un ramoscello
di bacche porporine
e chiede, in cambio, poche bricioline.
Viene per augurare.....
un BUONISSIMO NATALE
venerdì 22 dicembre 2017
San GIUSEPPE
Il brano che riporto oggi è tratto da un Vangelo per l'infanzia arabo-siriano.
Si tratta di una storiella fantastica con protagonisti S. Giuseppe e Gesù seguito da una poesia tratta dal protovangelo di Giacomo dove ancora una volta protagonista è S.Giuseppe.
Giuseppe
Nella lingua ebraica significa "(Dio) accresce".
Sposo di Maria Vergine è reputato padre di Gesù. Su di lui abbiamo poche notizie. Discendente del re David, esercitava un mestiere di carpentiere o falegname.
Il papa Pio IX lo dichiara(8 dicembre 1870) patrono della chiesa universale. La sua festa è celebrata il 19 marzo.
I Vangeli apocrifi ce lo dipingono un po' pasticcione. Gesù deve stargli sempre accanto a far miracoli, per rimediare con il tocco delle sue mani alle misure sbagliate, " perché Giuseppe non era molto bravo nel mestiere di falegname".
Incaricato dal re di costruirgli un trono su misura Giuseppe accetta. Ma ad opera compiuta si accorge che da una parte e dall'altra mancano due spanne alla misura stabilita. Giuseppe passò la notte senza cenare.
"Allora il Signore Gesù gli domandò parché fosse preoccupato.
- Perché - rispose Giuseppe - ho mandato in malora tutto il lavoro fatto in due anni!-.
Ma il Signore Gesù gli disse: - Non essere preoccupato e non lasciarti abbattere: prendi il trono da una parte, io lo prenderò dall'altra e lo correggeremo.-
Giuseppe fece come gli aveva detto il Signore Gesù: e tirando ciascuno dalla propria parte, il trono fu corretto e portato alla giusta misura di quel luogo.
Maria dentro la grotta si posò
e Giuseppe a Betlemme si avviò.
Ma un momento sentì che mentre andava
a mezzo il passo il pie' gli si arrestava.
Vide attonita l'aria e il cielo immoto
e uccelli starsi fermi in mezzo al vuoto.
E po vide operai sdraiati a terra
e posata nel mezzo una scodella:
e chi mangiava, ecco, non mangia più,
chi ha preso il cibo non lo tira su.
Chi levava la man la tien levata,
e tutti al cielo volgono la faccia.
Le pecore condotte a pascolare sono lì che non
possono più andare:
fa il pastor per colpirle con la verga
e gli resta la man sospesa e ferma.
E i capretti che all'acqua avevano il muso
ber non possono al fiume in se rinchiuso...
E poi Giuseppe vide in un momento
ogni cosa riprender movimento.
Si tratta di una storiella fantastica con protagonisti S. Giuseppe e Gesù seguito da una poesia tratta dal protovangelo di Giacomo dove ancora una volta protagonista è S.Giuseppe.
Giuseppe
Nella lingua ebraica significa "(Dio) accresce".
Sposo di Maria Vergine è reputato padre di Gesù. Su di lui abbiamo poche notizie. Discendente del re David, esercitava un mestiere di carpentiere o falegname.
Il papa Pio IX lo dichiara(8 dicembre 1870) patrono della chiesa universale. La sua festa è celebrata il 19 marzo.
I Vangeli apocrifi ce lo dipingono un po' pasticcione. Gesù deve stargli sempre accanto a far miracoli, per rimediare con il tocco delle sue mani alle misure sbagliate, " perché Giuseppe non era molto bravo nel mestiere di falegname".
Incaricato dal re di costruirgli un trono su misura Giuseppe accetta. Ma ad opera compiuta si accorge che da una parte e dall'altra mancano due spanne alla misura stabilita. Giuseppe passò la notte senza cenare.
"Allora il Signore Gesù gli domandò parché fosse preoccupato.
- Perché - rispose Giuseppe - ho mandato in malora tutto il lavoro fatto in due anni!-.
Ma il Signore Gesù gli disse: - Non essere preoccupato e non lasciarti abbattere: prendi il trono da una parte, io lo prenderò dall'altra e lo correggeremo.-
Giuseppe fece come gli aveva detto il Signore Gesù: e tirando ciascuno dalla propria parte, il trono fu corretto e portato alla giusta misura di quel luogo.
Maria dentro la grotta si posò
e Giuseppe a Betlemme si avviò.
Ma un momento sentì che mentre andava
a mezzo il passo il pie' gli si arrestava.
Vide attonita l'aria e il cielo immoto
e uccelli starsi fermi in mezzo al vuoto.
E po vide operai sdraiati a terra
e posata nel mezzo una scodella:
e chi mangiava, ecco, non mangia più,
chi ha preso il cibo non lo tira su.
Chi levava la man la tien levata,
e tutti al cielo volgono la faccia.
Le pecore condotte a pascolare sono lì che non
possono più andare:
fa il pastor per colpirle con la verga
e gli resta la man sospesa e ferma.
E i capretti che all'acqua avevano il muso
ber non possono al fiume in se rinchiuso...
E poi Giuseppe vide in un momento
ogni cosa riprender movimento.
- 3 a Natale
Meno tre
Oggi gli auguri sono per chi lavora e nonostante si senta stanco trova il tempo per preparare il Presepio e/o l'Albero.
Oggi gli auguri sono per chi lavora e nonostante si senta stanco trova il tempo per preparare il Presepio e/o l'Albero.
Buon Natale |
giovedì 21 dicembre 2017
Il più bel dono di Natale
E per i bambini è anche questo post. Si tratta infatti di una piccola storia pubblicata nell'Anno Internazionale del Bambino 1979 su di un libro di racconti scritti da un'insegnante: Vittoria Gualtierotti Samarelli.
I Racconti della Nonna
Il più bel dono di Natale
Con le testine curve sui banchi, le scolarine della 3° classe femminile scrivono intente le letterina di auguri. E' l'ultimo giorno precedente le vacanze di Natale e la maestra ha detto:
- Ormai siete delle donnine e dovete voi stesse, da sole, scrivere la letterina ai genitori. Ascoltate quel che vi suggerisce il vostro cuoricino e non preoccupatevi d'altro.
Il suo sguardo s'è posato, amoroso e materno, sui visetti attenti e ha colto un'altro sguardo, quasi disperato: quello di due occhietti azzurri. E' Carmelina, una bionda creatura paffuta e rosea come una bamboletta, che ha bisogno del suo aiuto.
Ne conosce la storia: il padre, beone e strambo, che s'allontana di casa in cerca d'avventura; la madre, eroica e santa, che s'affanna perché nulla manchi alle sue creature.
S'avvicina, si china sulla bimba, la carezza sui capelli, suggerisce:
- Scrivi una bella lettera alla tua mamma,tu.
- Ma io voglio scrivere, anche al papà! Voglio dirgli di tornare a casa! - Nelle parole sono come sospese delle lacrime.
- Ebbene, scrivi, cara, anche al tuo papà.
-Ma non so l'indirizzo e neppure la mamma lo sa.
- Niente paura,Carmelina: Metti la lettera sulla tavola e Gesù Bambino troverà ben lui il modo di farla giungere al papà.
Nel pronunciare sorridendo la pietosa menzogna, il core della maestra trema di pena e una preghiera le sale dal profondo dell'anima perché la piccola sia esaudita.
Carmelina, rasserenata, scrive intanto le frasi ingenue che le fioriscono dall'anima precocemente consapevole del dolore: "Papà mio, vieni presto a casa nostra che sembra vuota senza di te. La mamma piange sempre quando noi non la vediamo e poi dice che è fume che gli fa venire gli occhi rossi. Andreino fa i capricci e dice che tu non ci sei, io ho tanta voglia di vederti, è tanto che non ti vedo. Perché sei andato via papà? Perché non scrivi e non vieni mai? Io non so dove sei, ma ti scrivo lo stesso, perché la maestra m'ha detto che Gesù Bambino lo sa dove sei e ti farà arrivare la mia letterina. Ritorna a casa, papà, noi ti aspettiamo e ti vogliamo bene. Carmelina."
E, più sotto: "Caro Gesù Bambino, io non so dove si trova il mio papà, ma tu sei in Cielo e vedi tutti, lo sai certamente. Forse lui non si ricorda più la strada, ma tu mandagli un angioletto per aiutarlo a trovarla. Io ti prometto che sarò sempre buona, e aiuterò la mamma. Gesù Bambino, fammi questa grazia. Io sono Carmelina Boldi e sto di casa in via del Macello, al numero 8."
All'uscita la maestra ferma la piccina, la conduce con sé a casa sua, le riempie la bocca di tante cose buone e le regala un bel Gesù Bambino benedicente.
- Prega, Carmelina; Gesù ti ascolterà.
E' la sera della vigilia di Natale. Le vie sono deserte. Ma dalle case illuminate escono suoni e aromi di vivande scelte. E' nevicato, ma ora il cielo è tutto un fulgore di stelle e par di udire, nell'aria, il volo sospeso di mille angeli. E' la notte dell'amore; è la notte della bontà; è la notte della pace. Per tutti, ma specialmente per chi soffre.
Un uomo imbacuccato in un largo mantello passa rasente ai muri, guardingo e furtivo come un ladro. Un cappellaccio gli copre il viso a metà, nella destra stringe una borsa rigonfia. cammina adagio, fermandosi ogni tanto, come uno che non ne può più. Deve venire da lontano. Le scarpe logore e slabbrate accusano un lungo cammino.
Ecco, si ferma davanti ad una casa debolmente illuminata. Una finestra senza tende permette di curiosare all'interno: due bimbi sono inginocchiati davanti a un asse posata su una sedia dove, tra il muschio e due candelette accese, un Gesù Bambino sorridente apre le braccia nel gesto dell'abbraccio e della benedizione. Dietro di loro una donna ancor giovane, con i segni delle sofferenze e delle privazioni sul viso smunto e sul corpo stanco, suggerisce la preghiera che il viandante non sente ,ma intuisce,
Un'emozione terribile s'impossessa di lui, un tremito lo scuote tutto. Cade in ginocchio nella neve e singhiozza: come ha potuto abbandonare la sua casa, la sua donna, i suoi figli? sono essi che l'hanno ricondotto sulla retta via; sono essi che l'hanno trattenuto tante volte sull'orlo dell'abisso.
Si alza, guarda ancora: i bimbi non ci sono più. Certo la madre li ha accompagnati nell'altra stanza,a letto. Sulla tavola è l'avanzo della cena: v'è anche qualche stagnola: un torroncino, forse, comprato a prezzo di chissà quali sacrifici. D'un tratto la bimba rientra: è in sottanella e scalza. Si avvicina all'improvvisato tavolino dove, tra le candele ora spente, c'è Gesù Bambino, gli posa accanto un foglio, gli manda un bacio sulla punta delle dita, scappa via.
Un desiderio struggente delle sue creature s'impossessa dell'uomo. Vuole, deve entrare; vuole, deve chiedere perdono.
Ora è la donna che ritorna. Si avvicina alla tavola per sparecchiare e...: - Maria, sono io, Carlo che ritorna; aprimi, se mi perdoni.-
Semplice, la donna gli corre incontro. La porta si chiude, la casa riaccoglie il fuggiasco pentito.
Nel lettino i bimbi sognano, abbracciati uno all'altro. L'umo piange sulla letterina della piccola Carmelina, mentre la donna si affanna a preparargli un po' di cena.
Si, Gesù l'ha trovato, l'ha ricondotto alla sua casa, per sempre.
E Carmelina potrà sulla sua pagina di cronaca I doni di Natale scrivere: "Il più bel dono di Natale lo abbiamo avuto noi. Papà è tornato per sempre ed ora lavora ed è allegro e non va più all'osteria".
I Racconti della Nonna
Il più bel dono di Natale
- Ormai siete delle donnine e dovete voi stesse, da sole, scrivere la letterina ai genitori. Ascoltate quel che vi suggerisce il vostro cuoricino e non preoccupatevi d'altro.
Il suo sguardo s'è posato, amoroso e materno, sui visetti attenti e ha colto un'altro sguardo, quasi disperato: quello di due occhietti azzurri. E' Carmelina, una bionda creatura paffuta e rosea come una bamboletta, che ha bisogno del suo aiuto.
Ne conosce la storia: il padre, beone e strambo, che s'allontana di casa in cerca d'avventura; la madre, eroica e santa, che s'affanna perché nulla manchi alle sue creature.
S'avvicina, si china sulla bimba, la carezza sui capelli, suggerisce:
- Scrivi una bella lettera alla tua mamma,tu.
- Ma io voglio scrivere, anche al papà! Voglio dirgli di tornare a casa! - Nelle parole sono come sospese delle lacrime.
- Ebbene, scrivi, cara, anche al tuo papà.
-Ma non so l'indirizzo e neppure la mamma lo sa.
- Niente paura,Carmelina: Metti la lettera sulla tavola e Gesù Bambino troverà ben lui il modo di farla giungere al papà.
Nel pronunciare sorridendo la pietosa menzogna, il core della maestra trema di pena e una preghiera le sale dal profondo dell'anima perché la piccola sia esaudita.
Carmelina, rasserenata, scrive intanto le frasi ingenue che le fioriscono dall'anima precocemente consapevole del dolore: "Papà mio, vieni presto a casa nostra che sembra vuota senza di te. La mamma piange sempre quando noi non la vediamo e poi dice che è fume che gli fa venire gli occhi rossi. Andreino fa i capricci e dice che tu non ci sei, io ho tanta voglia di vederti, è tanto che non ti vedo. Perché sei andato via papà? Perché non scrivi e non vieni mai? Io non so dove sei, ma ti scrivo lo stesso, perché la maestra m'ha detto che Gesù Bambino lo sa dove sei e ti farà arrivare la mia letterina. Ritorna a casa, papà, noi ti aspettiamo e ti vogliamo bene. Carmelina."
E, più sotto: "Caro Gesù Bambino, io non so dove si trova il mio papà, ma tu sei in Cielo e vedi tutti, lo sai certamente. Forse lui non si ricorda più la strada, ma tu mandagli un angioletto per aiutarlo a trovarla. Io ti prometto che sarò sempre buona, e aiuterò la mamma. Gesù Bambino, fammi questa grazia. Io sono Carmelina Boldi e sto di casa in via del Macello, al numero 8."
All'uscita la maestra ferma la piccina, la conduce con sé a casa sua, le riempie la bocca di tante cose buone e le regala un bel Gesù Bambino benedicente.
- Prega, Carmelina; Gesù ti ascolterà.
E' la sera della vigilia di Natale. Le vie sono deserte. Ma dalle case illuminate escono suoni e aromi di vivande scelte. E' nevicato, ma ora il cielo è tutto un fulgore di stelle e par di udire, nell'aria, il volo sospeso di mille angeli. E' la notte dell'amore; è la notte della bontà; è la notte della pace. Per tutti, ma specialmente per chi soffre.
Un uomo imbacuccato in un largo mantello passa rasente ai muri, guardingo e furtivo come un ladro. Un cappellaccio gli copre il viso a metà, nella destra stringe una borsa rigonfia. cammina adagio, fermandosi ogni tanto, come uno che non ne può più. Deve venire da lontano. Le scarpe logore e slabbrate accusano un lungo cammino.
Ecco, si ferma davanti ad una casa debolmente illuminata. Una finestra senza tende permette di curiosare all'interno: due bimbi sono inginocchiati davanti a un asse posata su una sedia dove, tra il muschio e due candelette accese, un Gesù Bambino sorridente apre le braccia nel gesto dell'abbraccio e della benedizione. Dietro di loro una donna ancor giovane, con i segni delle sofferenze e delle privazioni sul viso smunto e sul corpo stanco, suggerisce la preghiera che il viandante non sente ,ma intuisce,
Un'emozione terribile s'impossessa di lui, un tremito lo scuote tutto. Cade in ginocchio nella neve e singhiozza: come ha potuto abbandonare la sua casa, la sua donna, i suoi figli? sono essi che l'hanno ricondotto sulla retta via; sono essi che l'hanno trattenuto tante volte sull'orlo dell'abisso.
Si alza, guarda ancora: i bimbi non ci sono più. Certo la madre li ha accompagnati nell'altra stanza,a letto. Sulla tavola è l'avanzo della cena: v'è anche qualche stagnola: un torroncino, forse, comprato a prezzo di chissà quali sacrifici. D'un tratto la bimba rientra: è in sottanella e scalza. Si avvicina all'improvvisato tavolino dove, tra le candele ora spente, c'è Gesù Bambino, gli posa accanto un foglio, gli manda un bacio sulla punta delle dita, scappa via.
Un desiderio struggente delle sue creature s'impossessa dell'uomo. Vuole, deve entrare; vuole, deve chiedere perdono.
Ora è la donna che ritorna. Si avvicina alla tavola per sparecchiare e...: - Maria, sono io, Carlo che ritorna; aprimi, se mi perdoni.-
Semplice, la donna gli corre incontro. La porta si chiude, la casa riaccoglie il fuggiasco pentito.
Nel lettino i bimbi sognano, abbracciati uno all'altro. L'umo piange sulla letterina della piccola Carmelina, mentre la donna si affanna a preparargli un po' di cena.
Si, Gesù l'ha trovato, l'ha ricondotto alla sua casa, per sempre.
E Carmelina potrà sulla sua pagina di cronaca I doni di Natale scrivere: "Il più bel dono di Natale lo abbiamo avuto noi. Papà è tornato per sempre ed ora lavora ed è allegro e non va più all'osteria".
martedì 19 dicembre 2017
Giovanni Vialardi "Il cuoco del re"
Come mia abitudine prima delle festività riporto sempre qualcosa inerente la "cucina".
A volte sono ricette, altre volte, come in questo caso, dissertazioni su alimenti e cuochi.
Questa è una pagina tratta da La storia in un bicchiere di S. Doglio e A. Appiano .
Giovanni Vialardi, aiuto capo-cuoco e pasticcere di Sua MaestàCarlo Alberto, guardò con soddisfazione i quattro polli appena uccisi - bianchi e ben grassi - posati sul tavolo della cucina. Controllò la larga ciotola piena di farina, il cesto delle uova e quello dei funghi. Annuso i tartufi religiosamente, a occhi chiusi, poi li ripose facendo un piccolo cenno di approvazione.
Era appena l'alba, ma già gli sguatteri andavano e venivano indaffarati, spostando file di piatti, asciugando bicchieri, scoperchiando pentole, rimestando minestre. Nell'enorme cucina, nei sotterranei del Palazzo Reale, incominciavano a mescolarsi i profumi, gli odori di selvaggina, salse, arrosti, zuppe, sciroppi e marmellate. In quei giorni il capo - cuoco era ammalato ed era Giovanni Vialardi ad avere l'intera responsabilità della mensa dei Savoia.
Dopo aver conferito con il Maestro di Casa - i coperti per il pranzo, quel giorno, sarebbero stati trenta - Vialardi si accinse a preparare la "minuta".
Da poco tempo la Corte di Savoia aveva adottato il "servizio alla russa".
Fino a pochi anni prima, nei pranzi si seguiva i cosiddetto "servizio alla francese": un gran numero di piatti messi contemporaneamente sul tavolo su vassoi o su scaldini. Ogni commensale mangiava secondo il proprio capriccio e con la massima libertà di combinazioni. Lo stesso succedeva con i vini, che erano serviti dai camerieri o si trovavano già pronti sul tavolo, senza alcun preciso abbinamento.
Il "servizio alla russa", invece, costituiva una vera e propria rivoluzione nel campo della gastronomia: i piatti erano portati in tavola uno alla volta, in una successione prestabilita. Le pietanze si potevano mangiare calde, e si diminuivano anche gli sprechi. Il servizio alla russa prevedeva anche - fatto nuovo - un preciso abbinamento dei vini coi piatti.
Uno dei meriti che decenni dopo gli storici della gastronomia hanno riconosciuto a giovanni Vialardi - oltre a quello di essere stato tra i primi a presentare assieme alla lista dei cibi una "carta dei vini" - è di aver proposto, i vini piemontesi e in particolare il Barolo, là dove per tradizione venivano serviti i più classici vini francesi.
Giovanni ordinò con cura i fogli bianchi davanti a sé, pulì la penna, la intinse nel calamaio e incominciò a scrivere con bei caratteri svolazzanti:
"Minuta per ordine di servizio"
- Zuppa di purée di volaglia all'imperatrice
- Frittura di animelle alla Villeroy
- Filetti di bue alla giardiniera...
Si fermò con la penna a mezz'aria:
"Filetti di anguilla alla piemontese" o "Luccio alla casalinga"? Ci pensò un momento, decise per L'anguilla.
Riprese a scrivere:
- Filetti di anguilla alla piemontese
- Vol-au-vent alla finanziera
- Giambone di Vestphalie alla purea di lenticchie
- Pernici alla Périgueux
- Galantina di tacchino con gelatina
- Piselli all'inglese
- Costolette di beccaccini ai tartufi bianchi
- Crema al maraschino
- Babà alla polonese ghiacciato al vino di Madera
- Gelatine negli aranci in quarti
- Pasticceria montata
Cambiò foglio. con calligrafia più grossa scrisse: "Frutta", e quindi continuò:
- Formaggio
- Sorbetti
- Marroni abbrustoliti
- Frutti crudi
- Composte varie
- Confetti e zuccherini
Mentre scriveva queste parole, pensò che gli zuccherini erano veramente una sua specialità. Sapeva fare certi fondants che si scioglievano in bocca lasciando a lungo un ricordo di arancia, fragola e limone... E che dire delle sue "castagne confettate", delle sfoglie, del marzapane?
Sospirò e concluse con un "Caffè e liquori", calcando bene la penna.
Rilesse il tutto.
Avrebbe fatto accompagnare la zuppa, la frittura di animelle e i filetti di bue con vino di Xeres, Madera, e con Vernaccia di Sardegna. I vol-au-vent alla finanziera, le pernici alla Périgueux, e il tacchino in gelatina invece, si sposavano alla perfezione coi vini rossi secchi: Bordeaux ad esempio, o quel delizioso Barolo invecchiato nelle botti di rovere che arrivava direttamente dalle tenute del Re.
Per la pasticceria, Sciampagna. E per la frutta, i vini dolci: Malaga, Tokai d'Ungheria e Moscatello.
A volte sono ricette, altre volte, come in questo caso, dissertazioni su alimenti e cuochi.
Questa è una pagina tratta da La storia in un bicchiere di S. Doglio e A. Appiano .
Il cuoco del Re |
Era appena l'alba, ma già gli sguatteri andavano e venivano indaffarati, spostando file di piatti, asciugando bicchieri, scoperchiando pentole, rimestando minestre. Nell'enorme cucina, nei sotterranei del Palazzo Reale, incominciavano a mescolarsi i profumi, gli odori di selvaggina, salse, arrosti, zuppe, sciroppi e marmellate. In quei giorni il capo - cuoco era ammalato ed era Giovanni Vialardi ad avere l'intera responsabilità della mensa dei Savoia.
Dopo aver conferito con il Maestro di Casa - i coperti per il pranzo, quel giorno, sarebbero stati trenta - Vialardi si accinse a preparare la "minuta".
Da poco tempo la Corte di Savoia aveva adottato il "servizio alla russa".
Fino a pochi anni prima, nei pranzi si seguiva i cosiddetto "servizio alla francese": un gran numero di piatti messi contemporaneamente sul tavolo su vassoi o su scaldini. Ogni commensale mangiava secondo il proprio capriccio e con la massima libertà di combinazioni. Lo stesso succedeva con i vini, che erano serviti dai camerieri o si trovavano già pronti sul tavolo, senza alcun preciso abbinamento.
Il "servizio alla russa", invece, costituiva una vera e propria rivoluzione nel campo della gastronomia: i piatti erano portati in tavola uno alla volta, in una successione prestabilita. Le pietanze si potevano mangiare calde, e si diminuivano anche gli sprechi. Il servizio alla russa prevedeva anche - fatto nuovo - un preciso abbinamento dei vini coi piatti.
Uno dei meriti che decenni dopo gli storici della gastronomia hanno riconosciuto a giovanni Vialardi - oltre a quello di essere stato tra i primi a presentare assieme alla lista dei cibi una "carta dei vini" - è di aver proposto, i vini piemontesi e in particolare il Barolo, là dove per tradizione venivano serviti i più classici vini francesi.
"Minuta per ordine di servizio"
- Zuppa di purée di volaglia all'imperatrice
- Frittura di animelle alla Villeroy
- Filetti di bue alla giardiniera...
Si fermò con la penna a mezz'aria:
"Filetti di anguilla alla piemontese" o "Luccio alla casalinga"? Ci pensò un momento, decise per L'anguilla.
Riprese a scrivere:
- Filetti di anguilla alla piemontese
- Vol-au-vent alla finanziera
- Giambone di Vestphalie alla purea di lenticchie
- Pernici alla Périgueux
- Galantina di tacchino con gelatina
- Piselli all'inglese
- Costolette di beccaccini ai tartufi bianchi
- Crema al maraschino
- Babà alla polonese ghiacciato al vino di Madera
- Gelatine negli aranci in quarti
- Pasticceria montata
Cambiò foglio. con calligrafia più grossa scrisse: "Frutta", e quindi continuò:
- Formaggio
- Sorbetti
- Marroni abbrustoliti
- Frutti crudi
- Composte varie
- Confetti e zuccherini
Mentre scriveva queste parole, pensò che gli zuccherini erano veramente una sua specialità. Sapeva fare certi fondants che si scioglievano in bocca lasciando a lungo un ricordo di arancia, fragola e limone... E che dire delle sue "castagne confettate", delle sfoglie, del marzapane?
Sospirò e concluse con un "Caffè e liquori", calcando bene la penna.
Rilesse il tutto.
Avrebbe fatto accompagnare la zuppa, la frittura di animelle e i filetti di bue con vino di Xeres, Madera, e con Vernaccia di Sardegna. I vol-au-vent alla finanziera, le pernici alla Périgueux, e il tacchino in gelatina invece, si sposavano alla perfezione coi vini rossi secchi: Bordeaux ad esempio, o quel delizioso Barolo invecchiato nelle botti di rovere che arrivava direttamente dalle tenute del Re.
Per la pasticceria, Sciampagna. E per la frutta, i vini dolci: Malaga, Tokai d'Ungheria e Moscatello.
Un quadro "raccontato" da Van Gogh
Ed ecco una nuova lettura, particolare anche questa, tratta da:
Vincent Van Gogh 100 lettere.
Dalla lettera n°211
Caro Thèo
..... Un vecchio di Israels ... siede in un angolo accanto al focolare, su cui un pezzetto di torba riluce debolmente nel crepuscolo. Si tratta infatti di una casetta buia, quella in cui è seduto il vecchio, una vecchia casupola con una piccola finestra con le tende bianche. Il suo cane, è invecchiato con lui, siede accanto alla sua sedia - quei due vecchi amici, l'uomo e il cane, si guardano, guardano uno negli occhi dell'altro e nel frattempo il vecchio sta tirando fuori dalla tasca la borsa del tabacco e si accende la pipa nel crepuscolo.
Nient'altro - il crepuscolo, il silenzio, la solitudine di quei due vecchi amici, l'uomo e il cane, la familiarità che li unisce, i pensieri del vecchio - quel che egli stia pensando non so, non potrei dirlo, ma deve trattarsi di un pensiero profondo e lungo, qualcosa che sorge dal passato lontano.
E' forse quel pensiero che dà espressione al suo viso, un'espressione malinconica, serena, sottomessa, qualcosa che ricorda uno dei famosi poemi di Longfellow, quello che ripete "ma i pensieri della giovinezza sono pensieri lunghi, molto lunghi."
Mi piacerebbe vedere questo quadro di Israels esposto accanto alla Morte del taglialegna di Millet. Non conosco infatti nessun altro quadro, tranne questo di Israels, che sia pari alla Morte del taglialegna di Millet o che sia degno di essergli esposto accanto. E poi desidero vedere accanto quei due quadri, perchè si possano completare a vicenda. Penso che quel che manca in questo quadro di Israels sia La morte del taglialegna di Millet appeso lì accanto, l'uno a un estremità, l'altro all'altra di una lunga galleria stretta - con nessun altro quadro nella galleria tranne questi due - questi due e nessun altro.
.....
Vincent Van Gogh 100 lettere.
Jiozef Israels pittore olandese n.1824 m.1911 |
Caro Thèo
..... Un vecchio di Israels ... siede in un angolo accanto al focolare, su cui un pezzetto di torba riluce debolmente nel crepuscolo. Si tratta infatti di una casetta buia, quella in cui è seduto il vecchio, una vecchia casupola con una piccola finestra con le tende bianche. Il suo cane, è invecchiato con lui, siede accanto alla sua sedia - quei due vecchi amici, l'uomo e il cane, si guardano, guardano uno negli occhi dell'altro e nel frattempo il vecchio sta tirando fuori dalla tasca la borsa del tabacco e si accende la pipa nel crepuscolo.
Nient'altro - il crepuscolo, il silenzio, la solitudine di quei due vecchi amici, l'uomo e il cane, la familiarità che li unisce, i pensieri del vecchio - quel che egli stia pensando non so, non potrei dirlo, ma deve trattarsi di un pensiero profondo e lungo, qualcosa che sorge dal passato lontano.
E' forse quel pensiero che dà espressione al suo viso, un'espressione malinconica, serena, sottomessa, qualcosa che ricorda uno dei famosi poemi di Longfellow, quello che ripete "ma i pensieri della giovinezza sono pensieri lunghi, molto lunghi."
Mi piacerebbe vedere questo quadro di Israels esposto accanto alla Morte del taglialegna di Millet. Non conosco infatti nessun altro quadro, tranne questo di Israels, che sia pari alla Morte del taglialegna di Millet o che sia degno di essergli esposto accanto. E poi desidero vedere accanto quei due quadri, perchè si possano completare a vicenda. Penso che quel che manca in questo quadro di Israels sia La morte del taglialegna di Millet appeso lì accanto, l'uno a un estremità, l'altro all'altra di una lunga galleria stretta - con nessun altro quadro nella galleria tranne questi due - questi due e nessun altro.
.....
Jean Francois Millet Farm pittore francese n.1814 m.1875 |
lunedì 18 dicembre 2017
L'ultima foresta primordiale
Dalla rivista MONTAGNE360 dell'ottobre 2016 ho tratto questa " descrizione di un antica foresta " che mi piace moltissimo e che voglio condividere con voi. BUONA LETTURA
Come mettemmo piede dentro la foresta, l'impressione fu di trovarsi all'interno di qualcosa di grande. Alberi maestosi, alti anche cinquanta metri, un bosco vetusto lasciato a se stesso, un intrico armonioso di rami, fusti, tronchi, foglie, cespugli e piante: ognuno al suo posto, ognuno parte di un equilibrio.
La vita era dispiegata tutta verso l'alto, ogni essere a cercare la luce, a rincorrere il cielo.
Gli alberi caduti, sacrificati agli altri, si facevano humus, concime, terra per altre vite che, dentro i semi fremevano per diventare germogli e poi alfieri del bosco.
Foglie dorate, muschi, le voci degli uccelli, il canto del vento, il silenzio dell'autunno, il verde delle felci che bucava il giallo bruno, le croci degli ebrei e dei partigiani ammazzati, la memoria di vite spezzate e alberi caduti dopo cinquecento anni di fiero e gioioso portamento.
Alle forme ben delineate, slanciate, possenti e a volte austere, se ne contrapponevano altre curiose, piccole, bizzarre: ognuna reclamante in silenzio il suo spazio vitale, ognuna grata al sole e all'acqua, ognuna benedetta uguale. alcune cortecce parevano essere state percorse dal vomere: avevano i solchi glaciali che contrassegnano certe rocce.
Gli alberi sradicati dal vento, distesi a terra alzavano a ventaglio un apparato radicale dove s'annidavano bestie di vario tipo e quello che era il sotto diventava il sopra.
Grazie al sole che filtrava tra il folto, tutto un gioco di luci e ombre contrassegnava un cammino dove gli alberi sembravano giocare a nascondino e le foglie ancora appese lottare anche con la più flebile brezza. Gli alberi morti ma in piedi, cantavano di picchi, quelli spogli bastavano alle cince per cercare qua e là ancora insetto.
Laddove una foglia verde, dimenticata dall'estate, mostrava di essere figlia del faggio, l'aria sembrava concederle il viatico, il tempo e lo spazio, non solo per colorare il giorno, ma sopratutto per danzare eterea nella trama di ragnatele. L'andare era uno struscio di foglie, un rimestare nello strame e contemporaneamente osservare la caducità della vita ancora appesa, come a un filo, gialla, ai rami.
Curvo, storto, lungo, corto,spezzato, dritto, piegato, nodoso, contorto, lineare, quel mondo di braccia che usciva dalla terra con un carattere proprio dispiegava ogni energia per alzarsi.Vivere era una scalata per osservare dalla cima l'orizzonte.
Forse per questo, gli alberi che per natura passavano la vita fermi in un luogo, aspirano al cielo: non per i motivi degli uomini, solo per guardare il paesaggio.
Foresta di BIALOWIEZA sul confine tra Polonia Orientale e Biellorussia. |
La vita era dispiegata tutta verso l'alto, ogni essere a cercare la luce, a rincorrere il cielo.
Gli alberi caduti, sacrificati agli altri, si facevano humus, concime, terra per altre vite che, dentro i semi fremevano per diventare germogli e poi alfieri del bosco.
Foglie dorate, muschi, le voci degli uccelli, il canto del vento, il silenzio dell'autunno, il verde delle felci che bucava il giallo bruno, le croci degli ebrei e dei partigiani ammazzati, la memoria di vite spezzate e alberi caduti dopo cinquecento anni di fiero e gioioso portamento.
Alle forme ben delineate, slanciate, possenti e a volte austere, se ne contrapponevano altre curiose, piccole, bizzarre: ognuna reclamante in silenzio il suo spazio vitale, ognuna grata al sole e all'acqua, ognuna benedetta uguale. alcune cortecce parevano essere state percorse dal vomere: avevano i solchi glaciali che contrassegnano certe rocce.
La foresta di Bialowieza è l'ultima foresta della pianura europea che conservi ancora molti frammenti e caratteristiche di una foresta vergine, primordiale. |
Grazie al sole che filtrava tra il folto, tutto un gioco di luci e ombre contrassegnava un cammino dove gli alberi sembravano giocare a nascondino e le foglie ancora appese lottare anche con la più flebile brezza. Gli alberi morti ma in piedi, cantavano di picchi, quelli spogli bastavano alle cince per cercare qua e là ancora insetto.
Laddove una foglia verde, dimenticata dall'estate, mostrava di essere figlia del faggio, l'aria sembrava concederle il viatico, il tempo e lo spazio, non solo per colorare il giorno, ma sopratutto per danzare eterea nella trama di ragnatele. L'andare era uno struscio di foglie, un rimestare nello strame e contemporaneamente osservare la caducità della vita ancora appesa, come a un filo, gialla, ai rami.
Curvo, storto, lungo, corto,spezzato, dritto, piegato, nodoso, contorto, lineare, quel mondo di braccia che usciva dalla terra con un carattere proprio dispiegava ogni energia per alzarsi.Vivere era una scalata per osservare dalla cima l'orizzonte.
Forse per questo, gli alberi che per natura passavano la vita fermi in un luogo, aspirano al cielo: non per i motivi degli uomini, solo per guardare il paesaggio.
La foresta di BIALOWIEZA è stata proclamata Patrimonio dell'Umanità e Riserva della Biosfera. |
- 7 a Natale
Meno sette a NATALE, allora ho deciso, dopo tanto tempo, di tornare al mio blog per regalarvi qualche "scritto" che io trovo piacevole ed interessante (spero sia lo stesso per voi).
sabato 4 febbraio 2017
Sempre a proposito di LIBRISOTTOIPORTICI
Per maggiori informazioni:
Se avete dubbi o domande, domani, nell'ambito di LIBRISOTTOIPORTICI, rivolgetevi qui. |
venerdì 3 febbraio 2017
RICOMINCIA "LIBRISOTTOIPORTICI"
Domenica 05 Febbraio riparte Librisottoiportici.
E' vero, il tempo si preannuncia pessimo ma non basterà a fermarci!!! Noi ci saremo. Saremo li, al nostro posto (di fronte alla farmacia Balloni), ad aspettarvi per fare due chiacchiere; parlare di libri, del tempo dispettoso, di voi, di noi.
E' vero, il tempo si preannuncia pessimo ma non basterà a fermarci!!! Noi ci saremo. Saremo li, al nostro posto (di fronte alla farmacia Balloni), ad aspettarvi per fare due chiacchiere; parlare di libri, del tempo dispettoso, di voi, di noi.
lunedì 30 gennaio 2017
Un ROMANZO VERDE
Perché verde? Perché è il colore predominante in copertina, perché parla della campagna lombarda, perché si parla di speranza.
Nel post del 25 gennaio la scrittrice inglese G. Heyer descrive, nelle poche righe da noi trascritte, un lord inglese. In questa pagina invece troverete la descrizione di un contadino lombardo, un bravuomo della prima metà del 900, a opera del romanziere bresciano Agostino Turla.
.....
Non è un gran podere quello che lavoriamo noi, né si può certo paragonarlo alle Valenche. Ma insomma diciotto piò, che sarebbe come dire sei ettari all'incirca, rppresentano per la nostra famiglia un estensione più che sufficiente; anche se i pigionanti, che stanno alloggiati al Quartiere in buon numero, non facciano altro che sfruttare come loro è meglio concesso il proprio diritto di nullatenenti e s' industriino di far sciamare sul nostro interi eserciti di pollame. Senza contare che, naturalmente, i campi, a tempo opportuno, se li spigolano loro, e che loro appartengono, come d'uso, le seccarole ed ogni frutto o raccolto che venga su per le rive.
Bernardo Manzù, soprannominato mulinèr, il proprietario del Quartiere, è uomo però che la gente la lascia vivere in pace. Grano, granturco e legna, beninteso, vanno divisi del tre, come tutti gli altri prodotti: e ciò significa che a noi rimane un terzo e che le altre due parti prendono il volo verso fòndachi padronali abituati ormai, col concorso s'intende di altri poderi, a farsi carichi d'ogni grazia di Dio. Ad ogni modo, si vive. bernardo Manzù non sarebbe capace di torcere un capello ad anima viva.
Dal carattere tranquillo e pacato di Bernardo Manzù e d'un suo fondo naturalmente umanitario renderebbero testimonianza quegli stessi socialisti che si scalmanano per il trapasso della terra ai contadini.
basta vederlo. Un volto largo e placido, nel quale s'esprime una sorta di tranquillità che pare sul punto di tradursi ad ogni attimo in parola quasi per dire:"Ecco qua il benessere in persona".
Da queste parti non lo si incontra per strada sovente. Si fida di noi. Non è certo di quelli che stanno tutto il giorno giù pei campi a sindacare sulla maggiore o minore, proficua o meno proficua, attività dei suoi dipendenti. Ma quando lo si vede, non c'è uno in tutto il contado, che non provi gioia a salutarlo.
Perché la superbia, o insomma quel po' di contegno che i padroni han l'abitudine di concedersi, Bernardo Manzù non sa neanche dove stiano di casa, risponde a tutti con quella larga e quasi clamorosa cordialità che rivela subito il puro di cuore.
Bernardo Manzù è, infatti, un puro di cuore.
Da La statua di sale di Agostino Turla
Nel post del 25 gennaio la scrittrice inglese G. Heyer descrive, nelle poche righe da noi trascritte, un lord inglese. In questa pagina invece troverete la descrizione di un contadino lombardo, un bravuomo della prima metà del 900, a opera del romanziere bresciano Agostino Turla.
.....
Non è un gran podere quello che lavoriamo noi, né si può certo paragonarlo alle Valenche. Ma insomma diciotto piò, che sarebbe come dire sei ettari all'incirca, rppresentano per la nostra famiglia un estensione più che sufficiente; anche se i pigionanti, che stanno alloggiati al Quartiere in buon numero, non facciano altro che sfruttare come loro è meglio concesso il proprio diritto di nullatenenti e s' industriino di far sciamare sul nostro interi eserciti di pollame. Senza contare che, naturalmente, i campi, a tempo opportuno, se li spigolano loro, e che loro appartengono, come d'uso, le seccarole ed ogni frutto o raccolto che venga su per le rive.
Bernardo Manzù, soprannominato mulinèr, il proprietario del Quartiere, è uomo però che la gente la lascia vivere in pace. Grano, granturco e legna, beninteso, vanno divisi del tre, come tutti gli altri prodotti: e ciò significa che a noi rimane un terzo e che le altre due parti prendono il volo verso fòndachi padronali abituati ormai, col concorso s'intende di altri poderi, a farsi carichi d'ogni grazia di Dio. Ad ogni modo, si vive. bernardo Manzù non sarebbe capace di torcere un capello ad anima viva.
Dal carattere tranquillo e pacato di Bernardo Manzù e d'un suo fondo naturalmente umanitario renderebbero testimonianza quegli stessi socialisti che si scalmanano per il trapasso della terra ai contadini.
basta vederlo. Un volto largo e placido, nel quale s'esprime una sorta di tranquillità che pare sul punto di tradursi ad ogni attimo in parola quasi per dire:"Ecco qua il benessere in persona".
Da queste parti non lo si incontra per strada sovente. Si fida di noi. Non è certo di quelli che stanno tutto il giorno giù pei campi a sindacare sulla maggiore o minore, proficua o meno proficua, attività dei suoi dipendenti. Ma quando lo si vede, non c'è uno in tutto il contado, che non provi gioia a salutarlo.
Perché la superbia, o insomma quel po' di contegno che i padroni han l'abitudine di concedersi, Bernardo Manzù non sa neanche dove stiano di casa, risponde a tutti con quella larga e quasi clamorosa cordialità che rivela subito il puro di cuore.
Bernardo Manzù è, infatti, un puro di cuore.
Da La statua di sale di Agostino Turla
1899 - 1958 |
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