giovedì 8 novembre 2018

Serie Autori: HEINRICH BOLL tedesco



Heinrich Boll è senza dubbio lo scrittore tedesco più conosciuto e più letto in Germania e all'estero. Nato a Colonia alla fine del 1917 (morto nel luglio 1985), ultimo di otto figli, la chiamata alle armi, poco prima che cominciasse la Seconda guerra mondiale, lo costrinse a interrompere gli studi universitari e lo mandò su vari fronti, finché cadde prigioniero degli americani in Francia verso la fine della guerra.
L'esperienza della guerra è al centro delle prime opere di uno scrittore che ricordava lo "spaventoso destino di essere soldato e di dover desiderare che la guerra fosse perduta".
In quelle prime opere, ancora aspre ma ricche di un loro fascino, si rispecchia infatti il mondo orrendo della guerra nazista.


Fra le prime opere è la raccolta di racconti Wanderer, kommst du nach Spa... (1951).
In seguito Boll continuò a narrare vicende inserite nella evoluzione del suo Paese, dalla Germania speranzosa e attivista del miracolo economico, a quella del benessere e a quella del terrorismo.
Il suo tema più frequente è l'accettazione o il rifiuto da parte dell'individuo di responsabilità personali.
Nel 1972 a Boll, considerato "La coscienza della Germania moderna", venne assegnato il premio NOBEL.
Cattolico e pacifista, ma accanitamente non conformista, egli finì con l'alienarsi alcuni gruppi di opinione.
Le sue polemiche più clamorose furono con l'arcivescovo di Colonia, a cui rifiutava di pagare la "tassa per il culto" e con la stampa di destra che lo aveva attaccato duramente quando aveva chiesto un atto di clemenza per il gruppo Baader Meinhof.



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Ero disteso sul tavolo operatorio e vedevo me stesso, chiaramente, ma piccolissimo, rattrappito, lassù, nel vetro lucente della lampada: bianco e minuscolo, un misero pacchetto color garza, come un embrione straordinariamente sottile.
Ero dunque io, quello, lassù.
Il medico mi voltava la schiena e stava dinanzi a un vecchio tavolo, dove rovistava in mezzo a strumenti chirurgici.
Largo e vecchio, il vigile del fuoco se ne stava davanti alla lavagna e mi sorrideva; sorrideva stanco e triste, e la sua faccia sporca e barbuta era come il viso di un dormiente.Al di là della sua spalla, sul retro mezzo imbrattato della lavagna vidi qualcosa che per la prima volta, da quando mi trovavo in quella casa dei morti, mi toccò direttamente il cuore.
In un qualche recesso segreto del mio cuore ebbi un profondo e tremendo sussulto, e il cuore cominciò a battermi forte: là, sulla lavagna, c'era la mia scrittura.



In alto, nella prima riga.
Io la conoscevo, la mia scrittura: è peggio che vedersi allo specchio, molto più esplicito, e non avevo la minima possibilità di mettere in dubbio che quella fosse la mia scrittura.
Tutto il resto non era stato una prova, né Medea né Nietzsche, non il profilo dinarico da film D'alta montagna né la banana del Togo, e nemmeno l'orma della croce sopra la porta: tutto questo era identico in tutte le scuole, ma no credo che nelle altre scuole scrivano sulla lavagna con la mia scrittura.
Eccola ancora là, quella frase che avevamo dovuto scrivere, quel giorno, al tempo della mia vita disperata di scolaro, ch'era appena trascorsa da tre mesi: Viandante, se giungi a Spa...
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Da Il pane dei verdi anni   (Viandante se giungi a Spa)




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