Il libro di oggi parla di musica!!! O meglio di un musicista.
Stampato nel 1983 a Bergamo a cura di Dario Della Porta vi propongo "dentro Donizetti", più esattamente un estratto dal volume Ricordo di Donizetti di Adolphe Adam che in questo libro troverete per intero.
Nel 1815, un giovanotto andava a piedi alla volta di Bologna; di tanto in tanto si girava indietro per dare un ultimo sguardo alle mura di Bergamo, la sua patria dalla quale s'allontanava per la prima volta.
Se talora una lacrima spuntava, inumidendo la sua pupilla, al pensiero del padre caro, della madre adorata che stava lasciando, un sorriso subito veniva ad illuminargli il volto. Era il sorriso della speranza, questa aspirazione così naturale in ogni giovane animo, verso l'ignoto. E poi, il sole d'Italia è così bello, e l'aria così pura da respirare, per dei polmoni diciassettenni!
E così bella è la libertà, la prima volta in cui se ne fa uso! Tutto questo non è forse essere fortunati? Si, il nostro viaggiatore era fortunato, molto fortunato! Era giovane, bello aitante e sognava! Sognava la gloria, onori e ricchezze. Ed era ben lontano dall'apprezzare la felicità autentica di quel momento: egli non vedeva felicità se non nell'avvenire, e nella realizzazione dei suoi sogni.
Nel 1845, una vettura accuratamente chiusa entrava a Bergamo. Conteneva un uomo dall'aspetto cupo e melanconico; il suo sguardo stravolto rivelava un dolore profondo, e non lasciava intravedere la benché minima luce intellettuale. Questo cadavere vivente che rientrava a Bergamo, era lo stesso giovane che trenta anni addietro ne era partito ricco di speranze in un bel futuro. Nel frattempo, tutti i suoi sogni si erano avverati: gloria, onori, ricchezze, tutto egli aveva ottenuto; il suo nome aveva riempito il mondo, i sovrani si erano contesi il privilegio di decorarlo con le loro onorificenze, di colmarlo dei loro favori. In premio alle sue melodie, tutte le nazioni gli erano state prodighe di danaro ed onori; e non era forse quella la fortuna che egli aveva sognato? Ed a qual prezzo l'aveva ottenuta? Essendo la sua vita troppo poca, egli aveva pagato tutto ciò con la sua anima.
L'intelligenza aveva capitolato, dinanzi a quel lavoro di tutti i giorni, di tutte le notti, di tutti i momenti; e Donizetti veniva a scontare, con un'agonia materiale, non più animato dal lume dell'intelletto, i piaceri che per trenta anni aveva dispensato al mondo intellettuale civilizzato.
.....
martedì 31 marzo 2020
mercoledì 25 marzo 2020
La ROMA del primo GIUBILEO
Oggi vi faccio conoscere un libro ricchissimo di curiosità inerenti gli anni giubilari.
Di libri dedicati ai giubilei ve ne sono molti e di varia specie, io stessa ne possiedo una mezza dozzina, forse di più, ma oggi intendo presentarvi questo:
GIUBILEI 1300 - 2000 di Sergio Valentini 1999
Ho scelto una pagina del primissimo capitolo dedicata alla città eterna del primo giubileo (1300).
Di libri dedicati ai giubilei ve ne sono molti e di varia specie, io stessa ne possiedo una mezza dozzina, forse di più, ma oggi intendo presentarvi questo:
GIUBILEI 1300 - 2000 di Sergio Valentini 1999
Ho scelto una pagina del primissimo capitolo dedicata alla città eterna del primo giubileo (1300).
LA CITTA' DEVASTATA
La più eccelsa di tutte le città assomiglia piuttosto ad un grosso borgo devastato dalla furia di guerre locali, da terremoti, inondazioni, saccheggio di peperino,marmi e mattoni dai monumenti antichi per costruirci le torri ed i palazzi dell'aristocrazia: gli Orsini guelfi padroni di Ponte, Parione, Monte Giordano e Castel Sant'Angelo, i Colonna ghibellini della spianata da Porta del Popolo al Quirinale, i Frangiapane del Celio e Palatino, i Caetani dell'Isola Tiberina, i Savelli dell'Aventino.
Tutti rinserrati, coi loro bravi, dentro la rispettiva fortezza, in un eterna vigilia di guerra.
Edera, muschio, erbacce avvolgono colossali monumenti in rovina; vigneti ed orti addossati al Campidoglio, al Pantheon, al Foro; dappertutto disordine di ruderi, chiese cadenti, terreni impaludati, stradacce strette ingombre d'ogni immondizia; abbandonata la via Appia.
Bonifacio VIII fa dono a suo nipote della tomba di Cecilia Metella, e Pietro Caetani ne fa una fortezza, avamposto contro un prossimo assalto dei Colonna, che hanno disseminato di rocche e castelli la campagna circostante.
Su al Campidoglio, Pietro di Stefano e Andrea de'Normanni senatori fanno restaurare il palazzo senatorio che minaccia di crollare sui pellegrini.
In Borgo Nuovo una porta viene aperta sulle mura aureliane, per alleggerire il traffico.
Null'altro.
martedì 24 marzo 2020
Vi propongo una pagina di : VIA COL VENTO II
.....
Guardò la sala e ricordò com'era bella quando l'aveva vista la prima volta durante la guerra. Allora il pavimento di legno era lucido come uno specchio e il lampadario coi suoi mille pendagli sfaccettati rifletteva vividamente le luci da dozzine e dozzine di candele, rifrangendole in spazzi di porpora e di azzurro.
I vecchi ritratti alle pareti avevano un aspetto dignitoso e gentile come se dessero il benvenuto agli ospiti. I divani di legno di rosa erano morbidi e accoglienti; uno di essi, il più grande, era al posto d'onore nella nicchia dove ella sedeva attualmente. Era stato il sedile preferito di Rossella, che da li godeva la vista del salone e della sala da pranzo, con le credenze di mogano cariche d'argenteria: candelabri a sette bracci, coppe, vassoi, bottiglie e bicchierini.
Ora il lampadario era opaco; la maggior parte dei pendagli erano rotti e la stanza era rischiarata solo da una lampada a olio e da poche candele; la maggiore illuminazione era forse quella che proveniva dalla fiamma accesa del caminetto. Il pavimento era irreparabilmente spaccato e scorticato; sulle pareti larghe chiazze chiare mostravano dove erano stati appesi i quadri, e grandi fessure ricordavano che durante la guerra una cannonata aveva demolito il tetto e il secondo piano.
La grande tavola di mogano era ancora nella sala da pranzo, con le gambe riparate alla meglio; le credenze e l'argenteria erano scomparse. I pesanti drappeggi di damasco giallo oro che ornavano le finestre ad arco in fondo alla stanza mancavano essi pure; vi erano soltanto i resti delle tendine di pizzo, pulite ma con visibili rammendi.
Al posto del divano intagliato che le piaceva tanto era adesso un banco duro non molto comodo. Vi sedette con la maggior grazia possibile, rammaricandosi che lo stato della gonna non le consentisse di ballare.
Come le sarebbe piaciuto danzare!
.....
Da VIA COL VENTO (secondo volume)di Margaret Mitchell 1936
lunedì 23 marzo 2020
Calamari allo zafferano
Di quaresima il venerdì pesce!!!
E il libro di oggi ne riporta tante ricette, tutte abbastanza facili e gustose:
Il pesce dalla raccolta Grande scuola di CUCINA MODERNA 2006.
Ne volete una prova eccola:
800 g di piccoli calamari già puliti
una grossa cipolla
zafferano
2 spicchi d'aglio
un peperone verde
un'arancia non trattata
2 dl di vino bianco secco
passato di pomodoro
50 g di olive verdi e nere
olio sale pepe
1)In una casseruola con 4 cucchiai d'olio fate appassire l'aglio e la cipolla sbucciati e tritati, senza farli rosolare.
Unite i calamari lavati, asciugati con carta assorbente e tagliati a listarelle. Fateli rosolare a fuoco vivo mescolandoli con un cucchiaio di legno.
Sciogliete nel vino una bustina di zafferano.
Mondate e lavate il peperone, poi tagliatelo a pezzetti e unitelo ai molluschi con il vino allo zafferano.
Lasciate evaporare per 5 minuti.
2)Incorporate ai calamari 4 cucchiai di passato di pomodori e una scorzetta d'arancia tritata finemente.
Salate, pepate, coprite e proseguite la cotture a fuco basso ancora per 20 minuti circa.
3)Circa 5 minuti prima del termine della cottura, alzate la fiamma per far evaporare l'eventuale liquido in eccesso, aggiungete le olive snocciolate e divise a metà, regolate di sale, pepate e servite immediatamente.
E il libro di oggi ne riporta tante ricette, tutte abbastanza facili e gustose:
Il pesce dalla raccolta Grande scuola di CUCINA MODERNA 2006.
Ne volete una prova eccola:
CALAMARI ALLO ZAFFERANO
Ingredienti per 4 persone800 g di piccoli calamari già puliti
una grossa cipolla
zafferano
2 spicchi d'aglio
un peperone verde
un'arancia non trattata
2 dl di vino bianco secco
passato di pomodoro
50 g di olive verdi e nere
olio sale pepe
1)In una casseruola con 4 cucchiai d'olio fate appassire l'aglio e la cipolla sbucciati e tritati, senza farli rosolare.
Unite i calamari lavati, asciugati con carta assorbente e tagliati a listarelle. Fateli rosolare a fuoco vivo mescolandoli con un cucchiaio di legno.
Sciogliete nel vino una bustina di zafferano.
Mondate e lavate il peperone, poi tagliatelo a pezzetti e unitelo ai molluschi con il vino allo zafferano.
Lasciate evaporare per 5 minuti.
2)Incorporate ai calamari 4 cucchiai di passato di pomodori e una scorzetta d'arancia tritata finemente.
Salate, pepate, coprite e proseguite la cotture a fuco basso ancora per 20 minuti circa.
3)Circa 5 minuti prima del termine della cottura, alzate la fiamma per far evaporare l'eventuale liquido in eccesso, aggiungete le olive snocciolate e divise a metà, regolate di sale, pepate e servite immediatamente.
sabato 21 marzo 2020
La LUCERTOLA nell'ARTE
Anche per "l'animale del mese" ho scelto il libro La natura e i suoi simboli edizione ELECTA 2004, riportando una pagina del secondo volume.
In ambito iconografico la lucertola ha assunto un doppio e opposto significato, individuabile a seconda del contesto in cui viene rappresentata.
L'attitudine della lucertola a cercare sempre la luce del sole è stata interpretata dai padri della Chiesa come l'immagine dell'uomo che anela a Cristo, quindi come simbolo di fede.
Probabilmente tale interpretazione deriva dai bestiari medioevali. Si dice infatti che, quando invecchia, la lucertola perda la vista. Allora, completamente cieca, striscia nelle fenditure di un muro rivolto verso Oriente e una volta al sole riacquista la vista perduta.
Allo stesso modo deve comportarsi l'uomo cercando il sole di Gesù che aprirà gli occhi del suo cuore.
La lucertola però può assumere un'accezione negativa e quindi diventare emblema del male, in quanto in un passo del Levitico viene menzionata tra gli animali impuri.
Proprio alludendo a questa seconda simbologia l'animale viene ritratto in alcune nature morte e scene di sottobosco, tipiche sopratutto della pittura barocca nordica, in cui all'immagine diretta si sovrappone il messaggio simbolico dell'eterna lotta tra il bene e il male.
Il piccolo rettile infine può comparire anche come attributo della Logica nelle raffigurazioni delle sette arti liberali.
In ambito iconografico la lucertola ha assunto un doppio e opposto significato, individuabile a seconda del contesto in cui viene rappresentata.
L'attitudine della lucertola a cercare sempre la luce del sole è stata interpretata dai padri della Chiesa come l'immagine dell'uomo che anela a Cristo, quindi come simbolo di fede.
Probabilmente tale interpretazione deriva dai bestiari medioevali. Si dice infatti che, quando invecchia, la lucertola perda la vista. Allora, completamente cieca, striscia nelle fenditure di un muro rivolto verso Oriente e una volta al sole riacquista la vista perduta.
Allo stesso modo deve comportarsi l'uomo cercando il sole di Gesù che aprirà gli occhi del suo cuore.
La lucertola però può assumere un'accezione negativa e quindi diventare emblema del male, in quanto in un passo del Levitico viene menzionata tra gli animali impuri.
Proprio alludendo a questa seconda simbologia l'animale viene ritratto in alcune nature morte e scene di sottobosco, tipiche sopratutto della pittura barocca nordica, in cui all'immagine diretta si sovrappone il messaggio simbolico dell'eterna lotta tra il bene e il male.
Il piccolo rettile infine può comparire anche come attributo della Logica nelle raffigurazioni delle sette arti liberali.
giovedì 19 marzo 2020
Il fiore del mese: Il TULIPANO
La pagina dedicata al fiore, che vi trascrivo oggi, l'ho "rubata" ad un libro di piacevole lettura e ricco di curiosità La natura e i suoi simboli edizione ELECTA 2004.
Mentre le immagini sono di una pittrice-naturalista tedesca del XVII secolo, una delle tante fantastiche donne di cui non si parla mai, MARIA SIBYLLA MERIAN.
TULIPANO
Il tulipano, originario della Persia, viene importato per la prima volta a Vienna nella seconda metà del XVI secolo dal console austriaco a Istanbul, e in poco tempo si diffonde in tutta Europa riscuotendo un notevole successo, sopratutto in Olanda.
Agli inizi del XVII secolo, grazie ai vari incroci, ne vengono coltivate più di centoquaranta varietà, alcune delle quali molto rare e di conseguenza costose.
Tra le specie più ricercate si ricorda il cosiddetto "tulipano celeste", che ben pochi avevano visto veramente, quelli striati e quelli rossi.
La fortuna di questo fiore è di tale portata, che per organizzarne il mercato viene istituita ad Amsterdam una vera e propria borsa specializzata, dove è possibile scommettere sui colori dei nuovi bulbi guadagnando o perdendo parecchie somme di denaro.
Quella del tulipano finisce per diventare una mania, al punto che quando, nel 1637, i prezzi precipitano, nemmeno l'intervento diretto degli Stati Generali riesce in qualche modo a far fronte all'emergenza.
Le numerose nature morte con tulipani, molto frequenti nella pittura fiamminga del XVII secolo, sono chiaramente connesse a questo fenomeno e al crollo economico a esso legato.
Inoltre il tulipano, non solo in quanto fiore, ma probabilmente anche a causa della sua "preziosa" bellezza, appare anche in numerose nature morte che alludono al concetto di caducità dei beni terreni di fronte alla morte: le famose "vanitas".
Maria SYbilla Merian 1647 - 1717 |
Secondo un'antica leggenda persiana, il tulipano, sarebbe nato dal sangue e dalle lacrime di una fanciulla avventuratasi nel deserto alla ricerca del suo amato, diventando così simbolo d'amore. |
ilibridialice.blogspot.com
In questo periodo di reclusione "forzata" torno a invitarvi alla lettura del blog "ilibridialice.blogspot.com" dove Alice ci suggerisce letture, anche gratuite, di vari libri dei quali ci racconta la storia in poche righe senza annoiare.
Provate a dare un occhiata e ditemi se non avevo ragione....
Provate a dare un occhiata e ditemi se non avevo ragione....
giovedì 5 marzo 2020
MARZO IRREQUIETO
Una leggenda calabrese ci racconta la bellezza del mese di MARZO.
Tratta da "Antologia italiana per le scuole di avviamento professionale" del 1957 eccovi un racconto di MARINA SPANO che vi farà "innamorare" di questo mese pazzerello.
Ho scelto di accompagnare il racconto con immagini di una grande illustratrice:
CARLA RUFFINELLI
Tre erano i figliuoli della Primavera, Marzo, Aprile, Maggio, allegri gli ultimi due, simpatici e tanto piacevoli, mentre il primo era un fantastico bizzarro, che pareva fatto apposta per far impazzire la gente.
Bello e gagliardo, con gli occhi azzurri che qualche volta si oscuravano per un repentino corruccio, i capelli a ciocchette del color della viola, correva sempre con le gambe all'aria, faceva dispetti, gridava, per il cielo come un indemoniato, scagliava acqua e qualche volta anche gragnuola sui fiori e sugli alberi spaventati.
La sua irrequietezza era proverbiale.
Essendo però Marzo il maggiore dei tre figli, la madre aveva per lui una vera predilezione. Voleva, è vero, un gran bene anche ad Aprile e a Maggio, ma soleva dire che gli strilli, i corrucci, le scorrazzate di quel monello erano la sua passione.
A questi tre ragazzi la Primavera delegava, per un mese ciascuno, il governo dei vènti, e quando le cose erano nelle mani di Marzo naturalmente la prima a tremare era la madre.
Delle cose del cielo in quel mese non se ne capiva nulla: ora il cielo scottava come di giugno, ora una tramontana gelata scendeva dai monti e faceva rabbrividire i germogli; ora il cielo si copriva di nubi come di gennaio, e quel pazzo monello, dopo aver raccolto sulle montagne delle burrasche di neve e di gragnuola, le scagliava per la campagna, facendo strage di fiori e di gemme.
Un giorno sua madre gli disse:
-- Senti, Marzolino mio, tu sai: in tutto l'inverno ho accumulato un subisso di biancheria sporca, che ora vorrei lavare.
Così dicendo ella mostrò al figlio un immenso cumulo di nuvole color sudicio, accatastate all'orizzonte. e continuo così:
-- Ti prego di farmi qualche giorno di buon tempo, con un bel sole forte, perché voglio fare un bucato di tutto ed asciugarlo il più rapidamente possibile..
E Marzo naturalmente si diede a rassicurare compiutamente la madre che l'avrebbe accontentata in tutto e per tutto.
L'indomani, di buon'ora, la Primavera era in gran faccende, e a mezzogiorno già una buona quantità di panni candidi, era stesa al sole, che splendeva magnifico in cielo.
Tutto andava per il meglio, quando Marzo, affacciatosi ad un angolo dell'orizzonte, e vedendo quel candido bucato disteso sui monti, e la mamma tutta intenta a sciabordare nelle acque profonde, fu preso da uno di quegli irresistibili impeti di monelleria che sono il meglio e il peggio del suo carattere.
-- che bella cosa -- disse tra sè -- portare un po' in giro per aria tutto quel bucato! Mia madre è tanto, tanto carina quando corre qua e là, coi capelli in aria, a raccattare i suoi panni!
Detto fatto, apre l'otre dei venti, ed ecco un furioso maestrale sbucar fuori con la testa arruffata e la faccia umida, e mettersi a correre come un matto verso la pianura.
Solleva nuvole di polvere, scavezza ramoscelli, sbatacchia rabbiosamente le chiome degli alberi e finalmente si precipita sul bucato: lenzuola, tovaglie, camicie, sciarpe, tutto all'aria!
Qualche lenzuolo si straccia sui cespugli della montagna e va a finire nelle forre, altri vengono sollevati per aria e trasportati a precipizio nell'azzurro e sul mare: il cielo è tutto pieno di stracci variopinti, sbattuti qua e la dalla furia del vento.
La povera Primavera, disperata, coi capelli all'aria, corre per i campi cercando di agguantare a volo quei panni volanti, e grida e chiama e si aggrappa agli alberi per non essere sbattuta via anche lei nella tempesta.
E intanto uno squillo di risa argentine risuona per le campagne: ridono rombando gli alberi dei boschi, ridono le fontane, e ride pazzamente Marzo, con i grandi occhi azzurri spalancati dietro le cime dei monti.
Tratta da "Antologia italiana per le scuole di avviamento professionale" del 1957 eccovi un racconto di MARINA SPANO che vi farà "innamorare" di questo mese pazzerello.
Ho scelto di accompagnare il racconto con immagini di una grande illustratrice:
CARLA RUFFINELLI
Tre erano i figliuoli della Primavera, Marzo, Aprile, Maggio, allegri gli ultimi due, simpatici e tanto piacevoli, mentre il primo era un fantastico bizzarro, che pareva fatto apposta per far impazzire la gente.
Bello e gagliardo, con gli occhi azzurri che qualche volta si oscuravano per un repentino corruccio, i capelli a ciocchette del color della viola, correva sempre con le gambe all'aria, faceva dispetti, gridava, per il cielo come un indemoniato, scagliava acqua e qualche volta anche gragnuola sui fiori e sugli alberi spaventati.
La sua irrequietezza era proverbiale.
Essendo però Marzo il maggiore dei tre figli, la madre aveva per lui una vera predilezione. Voleva, è vero, un gran bene anche ad Aprile e a Maggio, ma soleva dire che gli strilli, i corrucci, le scorrazzate di quel monello erano la sua passione.
A questi tre ragazzi la Primavera delegava, per un mese ciascuno, il governo dei vènti, e quando le cose erano nelle mani di Marzo naturalmente la prima a tremare era la madre.
Delle cose del cielo in quel mese non se ne capiva nulla: ora il cielo scottava come di giugno, ora una tramontana gelata scendeva dai monti e faceva rabbrividire i germogli; ora il cielo si copriva di nubi come di gennaio, e quel pazzo monello, dopo aver raccolto sulle montagne delle burrasche di neve e di gragnuola, le scagliava per la campagna, facendo strage di fiori e di gemme.
Un giorno sua madre gli disse:
-- Senti, Marzolino mio, tu sai: in tutto l'inverno ho accumulato un subisso di biancheria sporca, che ora vorrei lavare.
Così dicendo ella mostrò al figlio un immenso cumulo di nuvole color sudicio, accatastate all'orizzonte. e continuo così:
-- Ti prego di farmi qualche giorno di buon tempo, con un bel sole forte, perché voglio fare un bucato di tutto ed asciugarlo il più rapidamente possibile..
E Marzo naturalmente si diede a rassicurare compiutamente la madre che l'avrebbe accontentata in tutto e per tutto.
L'indomani, di buon'ora, la Primavera era in gran faccende, e a mezzogiorno già una buona quantità di panni candidi, era stesa al sole, che splendeva magnifico in cielo.
Tutto andava per il meglio, quando Marzo, affacciatosi ad un angolo dell'orizzonte, e vedendo quel candido bucato disteso sui monti, e la mamma tutta intenta a sciabordare nelle acque profonde, fu preso da uno di quegli irresistibili impeti di monelleria che sono il meglio e il peggio del suo carattere.
-- che bella cosa -- disse tra sè -- portare un po' in giro per aria tutto quel bucato! Mia madre è tanto, tanto carina quando corre qua e là, coi capelli in aria, a raccattare i suoi panni!
Detto fatto, apre l'otre dei venti, ed ecco un furioso maestrale sbucar fuori con la testa arruffata e la faccia umida, e mettersi a correre come un matto verso la pianura.
Solleva nuvole di polvere, scavezza ramoscelli, sbatacchia rabbiosamente le chiome degli alberi e finalmente si precipita sul bucato: lenzuola, tovaglie, camicie, sciarpe, tutto all'aria!
Qualche lenzuolo si straccia sui cespugli della montagna e va a finire nelle forre, altri vengono sollevati per aria e trasportati a precipizio nell'azzurro e sul mare: il cielo è tutto pieno di stracci variopinti, sbattuti qua e la dalla furia del vento.
La povera Primavera, disperata, coi capelli all'aria, corre per i campi cercando di agguantare a volo quei panni volanti, e grida e chiama e si aggrappa agli alberi per non essere sbattuta via anche lei nella tempesta.
E intanto uno squillo di risa argentine risuona per le campagne: ridono rombando gli alberi dei boschi, ridono le fontane, e ride pazzamente Marzo, con i grandi occhi azzurri spalancati dietro le cime dei monti.
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