Arrivai a Torino sotto l'ultima neve di gennaio, come succede ai saltimbanchi e ai venditori di torrone. Mi ricordai ch'era carnevale vedendo sotto i portici le bancarelle e i becchi incandescenti dell'acetilene, ma non era ancora buio e camminai dalla stazione all'albergo sbirciando fuori dei portici e sopra le teste della gente. L'aria cruda mi mordeva le gambe e, stanca com'ero, indugiavo davanti alle vetrine, lasciavo che la gente mi urtasse, e mi guardavo intorno stringendomi nella pelliccia.
Pensavo che ormai le giornate si allungavano, e che presto un po' di sole avrebbe sciolto quella fanghiglia e aperto la primavera.
Rividi così Torino, nella penombra dei portici. Quando entrai nell'albergo non sognavo che il bagno scottante e distendermi e una notte lunga. Tanto, a Torino ci dovevo stare un pezzo.
Non telefonai a nessuno e nessuno sapeva ch'ero scesa a quell'albergo, nemmeno un mazzo di fiori mi attendeva. La cameriera che mi preparò il bagno mi parlò, china sulla vasca, mentr'io giravo nella stanza. Sono cose che un uomo, un cameriere, non farebbe. Le dissi di andarsene, che bastavo da sola. La ragazza balbettò qualcosa, fronteggiandomi, scrollando le mani. allora le chiesi di di dov'era.
Lei arrossì vivacemente e mi rispose ch'era veneta. "Si sente" le dissi "e io sono torinese. Ti farebbe piacere tornare a casa?"
Annuì con uno sguardo furbo.
"Fa' conto allora ch'io qui torno a casa" le dissi "non guastarmi il piacere."
......
Da Tra donne sole di CESARE PAVESE 1949
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