giovedì 31 ottobre 2019

Vi propongo una pagina di: UCCELLI DI ROVO

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Le ombre ruotavano e sfrecciavano dinanzi alla lampada che avanzava mentre Fee passava silenziosamente per la porta del lato anteriore della casa.
Frank e Bob dormivano nella prima camera da letto; lei aprì l'uscio senza rumore e tenne alta la lampada; la luce inondò il letto a due piazze nell'angolo. Bob giaceva supino, a bocca aperta, fremendo e guizzando come un cane; Fee si avvicinò al letto e girò il ragazzo sul fianco destro prima che potesse scivolare in un vero e proprio incubo, poi indugiò un momento, contemplandolo. Quanto somigliava a Paddy!



Jack e Hughie erano quasi intrecciati insieme nell'altra stanza. 
Che tremendi che erano! Ne combinavano sempre qualcuna, ma senza malvagità. Invano cercò di separarli e di rimettere un po' in ordine le coperte; le due rosse teste ricciute si rifiutarono di scostarsi l'una dall'altra. Con un lieve sospiro, Fee rinunciò. Come riuscissero a sentirsi riposati dopo aver dormito in quel modo, superava la sua capacità di comprensione, eppure sembravano lo stesso sempre carichi di energie.



La stanza ove dormivano Meggie e Stuart era squallida e lugubre per due bambini; dipinta di marrone spento e con il pavimento di linoleum marrone, senza quadri alle pareti. Identica alle altre camere da letto.
Stuart si era girato nel letto e rimaneva del tutto invisibile eccetto il sedere, che sporgeva dalle coperte là ove si sarebbe dovuta trovare la testa; Fee gliela trovò dopo avergli toccato le ginocchia, e come sempre, si meravigliò che non fosse soffocato. Fece scivolare con cautela la mano sotto il lenzuolo e si irrigidì. Bagnato di nuovo!



Bene, bisognava rimandare alla mattina dopo, quando, senza dubbio, anche il guanciale sarebbe stato bagnato. Succedeva sempre così, Stuart si girava nel letto e poi faceva pipì ancora una volta. Be', un solo bambino su cinque che bagnava il letto, non era male.
Maggie dormiva acciambellata come un mucchietto, il pollice in bocca e i capelli sparsi tutto attorno. La sola femmina. Fee si limitò a sbirciarla con uno sguardo fuggevole prima di uscire; non esisteva alcun mistero in Meggie, era una femmina. Fee sapeva quale sarebbe stata la sua sorte, e non la invidiava né la compassionava.



I ragazzi erano diversi; erano miracoli, maschi usciti in seguito a chissà quale alchimia dal suo corpo di femmina. Una dura sorte non essere aiutata in casa , ma ne valeva la pena.
I figli maschi costituivano il più grande motivo d'orgoglio di Paddy tra i suoi pari.
Chi generava figli maschi era un vero uomo.
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Da UCCELLI DI ROVO di Collen McCullough 1977



giovedì 24 ottobre 2019

Vi propongo una pagina di: MASTRO DON GESUALDO



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Poi, quando fu sola, a un tratto, con un gesto disperato, si stappò la gorgiera che la soffocava, con un'onda di sangue al volto, un abbarbagliamento improvviso dinanzi agli occhi, una fitta, uno spasimo acuto che la fece vacillare, annaspando, fuori di sé.
Voleva vederlo, l'ultima volta, a qualunque costo, quando tutti sarebbero stati a riposare, dopo mezzogiorno.



La Madonna l'avrebbe aiutata: "La Madonna!... La Madonna!...". Non diceva altro, con una confusione dolorosa nelle idee, la testa in fiamme, il sole che le ardeva sul capo, gli occhi che le abbruciavano, una vampa nel cuore che le mordeva, che le saliva alla testa, che l'accecava, che la faceva delirare: "Vederlo! A qualunque costo!... Domani non lo vedrò più!... più!... più!...". 



Non sentiva le spine; non sentiva i sassi del sentiero fuori mano che aveva preso per arrivare di nascosto sino a lui. Ansante, premendosi il petto con le mani, trasalendo a ogni passo, spiando il cammino con l'occhio ansioso.
Un uccelletto spaventato fuggì con uno strido acuto. 



La spianata era deserta, in un'ombra cupa. C'era un muricciolo coperto d'edera triste, una piccola vasca abbandonata nella quale imputridivano delle piante acquatiche, e dei quadrati d'ortaggi polverosi al di là del muro, tagliati dai viali abbandonati che affogavano nel bosso irto di seccumi gialli. Da per tutto il senso di abbandono, di desolazione, nella catasta di legna che marciva in un angolo, nelle foglie fradicie ammucchiate sotto i noci, nell'acqua della sorgente la quale sembrava gemere, stillando dai grappoli di capelvenere che tappezzavano la grotta, come tante lagrime.



Soltanto fra le erbacce del sentiero pel quale lui doveva venire, dei fiori umili di cardo che luccicavano al sole, delle bacche verdi che si piegavano ondeggiando mollemente, e dicevano: Vieni! vieni! vieni! Attraversò guardinga il viale che scendeva alla casina, col cuore che le batteva alla gola, le batteva nelle tempie, le toglieva il respiro.



C'erano lì, fra le foglie secche, accanto al muricciolo dove lui s'era messo a sedere tante volte, dei brani di carta abbruciacchiati, dei fiammiferi spenti, delle foglie d'edera strappate, dei virgulti fatti a pezzettini minuti dalle mani febbrili di lui, nelle lunghe ore d'attesa.
Che agonìa lunga! Il sole abbandonava lentamente il sentiero. Moriva pallido sulla rupe brulla di cui le forre sembravano più tristi, ed ella aspettava ancora, aspettava sempre.
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Da Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga 1889



sabato 19 ottobre 2019

Vi propongo una pagina di: UN ADULTERIO MANTOVANO


..... coloro che da sempre si consideravano i veri e soli padroni della strada, i carrettieri.
Personaggi indipendenti e coloriti, costoro erano convinti della loro superiorità, per di più messi all'onor del mondo dal successo dell'opera di Mascagni che proprio da loro aveva tirato fuori il protagonista.



Spadroneggiavano sulle vie del mondo, cantando e sbraitando protervi e sottanieri, si imponevano alla ammirazione dei paesani e ne insidiavano le femmine.
Portavano anche in giro le notizie da fuorivia, occupando piazze e osterie con le loro bestie e le canzonacce blasfeme.



Notte e giorno, anche per lunghe file, si vedevano passare carri, carrette e barre, fino al tiro di otto cavalli, attacchi e bestie bardati con rustica fantasia, in cui si sfogavano le ambizioni della consorteria. Placche e sonagli,pennacchi e code contro le mosche e i tafani trasformavano traini e animali in apparizioni da Luna Park.



Le loro donne, abituate ad assenze anche di settimane, buttavano giù la minestra riconoscendo a grande distanza i toni delle sonagliere di famiglia.
Singolari personaggi di incalcolabile resistenza, camminavano intere giornate a fianco dei loro attacchi, cantando e agitando la frusta che portava alla estremità della corda la "battuta" per assicurare lo schiocco.



Esibizionisti come la gente del circo equestre, erano maestri nella perizia di sistemare il carico, uve, legnami, granaglie e un po' di tutto. Quando si trattava di roba leggera, come il fieno, riuscivano non si sa come ad allungare il carico fino a coprire anche le bestie che ne rimanevano sepolte come sotto delle colline semoventi.
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Da Un adulterio mantovano di Giovanni Nuvoletti 1981




giovedì 17 ottobre 2019

Vi propongo una pagina di: I FRUTTI DELLA TERRA


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Le giornate furono occupate dal lavoro nei campi, sempre dal lavoro dei campi. Isak disossava nuovi appezzamenti di terreno, toglieva pietre ed erbacce; lavorava, concimava, erpicava, maneggiava la zappa e la vanga, rompeva le zolle fra le dita e sotto i talloni. Rendeva soffice il suolo vergine, lo pareggiava come un tappeto di velluto.



Attese che cominciassero le piogge, e seminò il grano.
Da generazioni e generazioni, a memoria d'uomo, i suoi, di padre in figlio, avevano seminato grano.



Era una sera tranquilla e tepida, un po' intrisa di pioggia; le oche selvatiche erano appena migrate.
La coltivazione della patata è una coltivazione moderna, che non ha nulla di mistico, nulla di religioso; si può lasciare la cura di piantarle alle donne e ai bambini; sono straniere, le patate, come il caffè.



Certo, esse danno un efficacissimo alimento; ma hanno alcunché del cavolo rapa. Invece il grano, è nientemeno che il pane; aver del grano o non averne, significa la vita o la morte.
Isak andava a capo scoperto e seminava nel nome di Gesù. Era rude come una quercia provvista di braccia; ma, nel cuore, era come un fanciullo. Ogni suo gesto era accuratamente eseguito secondo uno spirito di buona volontà e di rassegnazione nello stesso tempo.



Vedete, quei piccoli semi germoglieranno e cresceranno e daranno spighe e si moltiplicheranno; così fanno tutte le terre dove il seminatore sparge il suo grano! In Palestina come in America, come nella Scandinavia, ogni seminatore somiglia a questo Isak, che semina, punto minuscolo in mezzo al vasto mondo!
La sua mano lanciava manciate di grano; il cielo era brumoso e dolce, una fine pioggia bagnava la terra.
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Da "I FRUTTI DELLA TERRA" di Knut Hamsun 1917



giovedì 10 ottobre 2019

A Castelgoffredo "MUSEO MAST" arriva GIUSEPPE BAZZANI



Da "Volta: Di alcune notizie letterarie di Mantova" - Tomo I:

Bazzani Giuseppe. Pittor figurista, morto Direttore di questa Reale Accademia Belle Arti, lì 17 Agosto del 1769, in età d'anni 79.
Fu egli scolaro di Giovanni Canti, da cui ebbe i principi dell'arte, ed apprese eziandio quella mirabil prestezza di dipingere, che usò in ogni tempo, e in qualunque de'suoi lavori. 
In gioventù aveva studiato moltissimo sulle opere di Giulio Romano, del Mantegna, di Paolo Veronese, di Rubens; e coll'assidua lettura de' migliori Storici, e Poeti si era arricchito di vaghi pensieri la fantasia; per cui fu osservato, ch'egli durava poca fatica ad esprimere qualunque soggetto.
Il suo valore nella Pittura gli meritò la stima, e l'amicizia del rinomato Cignaroli, che pregiava infinitamente i suoi quadri.
Se gl'incomodi da lui contratti ne' primi anni della sua vita, che lo tennero perpetuamente rinchiuso nella propria abitazione, gli avesser permesso di perfezionarsi sugli esemplari antichi, e moderni, avrebbero fuor d'ogni dubbio ottenuta la gloria di uno dei migliori Pittori di questo Secolo.
Da BAZZANI saggio critico e catalogo delle opere 
di NICOLA IVANOFF 1950




Vi aspettiamo numerosi!!!

sabato 5 ottobre 2019

LIBRISOTTOIPORTICI Castel Goffredo MN

Domani DOMENICA 6 OTTOBRE:



E sottolineiamo questo bellissimo e interessantissimo incontro:


Non MANCATE!

venerdì 4 ottobre 2019

DARJEELING "Lo champagne dei tè neri"

Aprite una scatola di tè e il viaggio comincia.
Servite il tè in una tazza o una ciotola e avrete l'avventura a portata di labbra.



Il bevitore di tè è un essere perennemente insoddisfatto, che ama fare viaggi senza spostarsi, viaggi che gli consentono di attraversare i confini meno agibili per meglio accedere ai tesori nascosti che gli danno granelli di felicità.
Parte alla ricerca dei migliori giardini del tè come un innamorato a cui le prove d'amore non bastino mai. A volte gli capita di chiudere gli occhi e affondare il naso in una scatola piena di foglie provenienti da Darjeeling o da Fujian. Inspira ed espira ed è come stregato, lo spirito aleggia in luoghi lontani che lo fanno sognare.



I GIARDINI DI DARJEELING
Tè fermentato per eccellenza, amato per l'aroma sottile e incomparabile di mandorla fresca o moscato, il Darjeeling è universalmente riconosciuto come lo "champagne dei tè neri".
La prima raccolta o first flush avviene da marzo ad aprile e la seconda raccolta o second flush da maggio a giugno. A queste si aggiungono le cosiddette raccolte in between e autunnali.
Sul mercato si trova sempre più spesso il Darjeeling verde, proveniente dai grandi giardini.
Le ottime condizione idrometriche di Darjeeling favoriscono la coltivazione di un gustosissimo "tè delle brume". 
Il first flush è particolarmente apprezzato per le foglie più verdi, il sapore astringente e la buona persistenza in bocca; dà un infuso giallo.
Il second flush è caratterizzato da foglie piuttosto brune, dal gusto meno palesemente astringente e più rotondo, che danno un infuso color caramello.
Scegliete una teiera in ceramica per lasciare in infusione le foglie di Darjeeling.
Lasciatele galleggiare liberamente e verificate l'infuso: 3 minuti circa per i first flush e 4 minuti per i second flush.
Servire in tazze di porcellana dal fondo bianco.



Tè ghiacciato delle brume
3 cucchiai di Darjeeling
50 cl di acqua minerale
4 mandorle
4 cucchiai di Amaretto (liquore alle mandorle)

Scaldate l'acqua a una temperatura di 85°C.
Versate le foglie di Darjeeling nella teiera e coprite con acqua calda.
Lasciate in infusione 4-5 minuti e passate al colino.
Lasciate raffreddare aprendo il coperchio della teiera per 20 minuti.
Servite in grandi bicchieri con cubetti di ghiaccio.
Spolverate la superficie con mandorle tritate ed, eventualmente, aggiungete un cucchiaini da caffè di Amaretto per bicchiere.

Ognuno potrà scegliere il tè che più gli aggrada, senza dover necessariamente aggiungere lo zucchero.
Volendo si possono lasciare le foglie di tè in infusione in acqua fredda per una notte intera raddoppiando le quantità. L'importante è non dimenticare di coprire la pentola durante l'infusione.



Da..."Il cofanetto del tè" di Gilles Brochard