mercoledì 19 giugno 2019

Serie Autori: MARIO RIGONI STERN italiano



Mario Rigoni Stern nato ad Asiago nel 1921, morto ad Asiago nel 2008, sergente degli alpini durante la campagna di Russia, nel 1953 raccolse le sue memorie di quell'esperienza nel volume Il sergente nella neve, la più emozionante testimonianza della Seconda guerra mondiale nella letteratura italiana. Travolti dalla sventura della guerra, in essa gli uomini amici e nemici si riconoscono eguali e fratelli. Questo senso di fraternità con gli uomini, ma anche con la natura, scorre in tutti i libri successivi di Rigoni Stern.
Parlando della sua opera, il poeta Andrea Zanzotto ha evocato "un'enigmatica terra della memoria, sempre reinventata e insieme riscoperta... onnicomprensiva e insieme selettiva... costituita da un brusio innumerevole di voci contraddittorie".



Come graffiti lasciati dall'uomo sulle rocce, consumati ed erosi dal tempo, compongono questa terra della memoria, gli inverni coi segni rossi sulla neve del lepre ferito, le primavere coi prati che si riempiono di giallo per la fioritura del tarassaco, le sere di maggio, lunghe nel crepuscolo, le mattine di fine giugno, con l'odore di fieno nell'aria, le ore più calde sul finire di luglio cullate dal brusio delle api, l'autunno col canto di un uccello nel bosco, quando una nebbia leggera sale dalle valli e passano le beccacce, e poi lo spirare del vento e il rombo della valanga o il ritorno dell'emigrante che viene a morire nella propria terra.



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Dopo il 20 di agosto la fabbrica riprese a produrre; gli amici gli raccontavano delle vacanze, del carovita, delle straniere sulle spiagge. Alcuni erano stati nell'Europa dell'Est con una gita organizzata dal Sindacato e gli dicevano di come quelle campagne fossero popolate di selvaggina: passando con il pullman vedevano i fagiani pascolare nelle stoppie, e i voli di starne sulle colline; e caprioli ai margini dei boschi e lepri fuggire dalle siepi lungo le strade.



Ma già queste cose lui le sapeva, tante pubblicazioni venatorie ne parlavano; invece lui desiderava per un mese, una volta nella vita, andare per i boschi della Boemia a cacciare le beccacce; libero e solo con il suo cane; senza orari e obblighi.
Venne anche l'ottobre, salutò i compagni; e nel casellario sopra l'orologio marcatempo, il suo posto rimase vuoto: per venti giorni il suo orario sarebbe stato decisamente un altro.
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Dal racconto Ferie d'ottobre da "Uomini, boschi e api"




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