Alice, a differenza della nostra precedente amica, ritiene che l'estate gli dia più ore a disposizione per i suoi impegni, che sono tanti: insegnante, scrittrice, mamma, blogger, ecc. Per questo ha scelto un classico un po' impegnativo, ma poi per rilassarsi prepara macedonie fresche con la sua bambina.
Abbiamo detto che la forca è l'unico edificio che le rivoluzioni non demoliscono. E' raro, difatti, che le rivoluzioni siano sobrie di sangue umano, e venute come sono per mondare, per sfrondare, per decapitare la società, la pena di morte è una delle roncole di cui si privano più a malincuore.
Confesseremo però che, se mai rivoluzione ci sembrò degna e capace di abolire la pena di morte, questa fu la rivoluzione di luglio. Sembrava in effetti che dovesse spettare al movimento popolare più clemente dei tempi moderni cancellare la barbara penalità di Luigi XI, di Richelieu e di Robespierre, e di inscrivere di fronte alla legge l'inviolabilità della vita umana. Il 1830 meritava di spezzare la mannaia del '93.
Per un momento l'abbiamo sperato. Nell'agosto del 1830, si respirava nell'aria tanta generosità, tanta pietà, un tale spirito di dolcezza e di civiltà aleggiava tra le masse, ci si sentiva il cuore sbocciare a tal punto, grazie all'approssimarsi di un simile futuro, che ci sembrò che la pena di morte sarebbe stata abolita di diritto, di punto in bianco, con un consenso tacito e unanime, come il resto delle cose malvagie che ci avevano addolorato. Il popolo aveva fatto un falò degli stracci del vecchio regime. Credemmo che anche lo straccio insanguinato fosse nel mucchio. Lo credemmo bruciato come gli altri. E per qualche settimana, fiduciosi e creduli, confidammo per l'avvenire nell'inviolabilità della vita come nell'inviolabilità della libertà.
da "Lultimo giorno di un condannato a morte" di Victor Hugo
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