sabato 4 maggio 2019

Leggere l'ARTE: 4°

Dal post precedente proseguiamo con questo articolo che ci "insegna" a leggere l'arte nel passare del tempo.


La bellezza di divertirsi insieme
"Nell'800 tutto il mondo cambia. La pittura esce dagli studi per raccontare la vita quotidiana, dove l'allegria è quella della gente, è per strada, è un sentimento sociale, sinonimo di leggerezza come lo intendiamo noi oggi", continua D'Orazio.
"Gli impressionisti interpretano correttamente questa euforia collettiva, dipinta puntualmente da Renoir nel Bal au moulin de la Galette, dove lo sguardo dello spettatore non si concentra sui volti in primo piano, ma passa da una figura senza volto all'altra, attraversa l'aria, la musica, il ballo di questa folla in festa. Le persone sono allegre proprio perché sono insieme. L'allegria diventa bella, contagiosa, sinonimo di vita spensierata.
Proprio nell'Ottocento si perde il giudizio morale negativo e diventa uno stato d'animo positivo, simbolo di condivisione, relazione, ma anche di assoluta libertà.
e persino di emancipazione femminile: nella Parigi di Renoir le donne erano diventate protagoniste della vita cittadina.
Il secolo dopo, all'inizio del Novecento, con La risata del futurista Umberto Boccioni l'allegria è rappresentata come energia vitale: la donna che ride è il motore che mette in circolo il dinamismo di tutto il quadro, come se fossero i movimenti dei nostri corpi. Il sorriso non è più contagio collettivo ma diventa azione che ci fa esistere".



"Al contrario del delirio, che è un apice transitorio, il tormento è eterno, si impossessa di noi, ci fa perdere il controllo.E' un'emozione che non riusciamo a sostenere, resta, non possiamo liberarcene", spiega ancora Costantino D'Orazio. "Lo è nei dipinti di un grande maestro di umanità come Giotto, che riporta nell'arte i sentimenti che la timidezza medioevale aveva relegato nel privato delle case. In uno dei suoi affreschi più famosi, il Compianto sul Cristo morto, si tormentano addirittura gli angeli, creature beate e per eccellenza prive di emozioni. Di fronte alla morte di Gesù, piangono passandosi l'un l'altro la disperazione, vissuta da ciascuno a modo proprio, ma condivisa persino con la natura intorno, con la rupe deserta e l'albero rinsecchito.



Giotto racconta il tormento nella sua veste universale, che coglie insieme uomo e natura. Diverso il tormento rappresentato da Michelangelo nel Giudizio universale, un rovello interiore che ha il potere di deformare il corpo. La sua anima dannata ha il volto deformato e il corpo imprigionato da una forza che lo trascina verso l'abisso. 



Il tormento è stato percepito nei secoli così, come condanna, rappresentato come forza che deforma e abbruttisce. La dannazione ci toglie l'umanità, spingendoci in basso, incatenati per sempre.
E' l'esatto contrario dell'allegria.
Nel Novecento, però,l'arte interpreterà il tormento ben diversamente. Specie dopo la psicoanalisi di Freud, che permetterà a Giuseppe Pellizza da Volpedo di dipingere il Ricordo di un dolore. Qui l'emozione è colta e indagata nella dimensione interiore. La donna del dipinto non ha il viso stravolto dalla sofferenza, ma è accasciata sulla sedia con lo sguardo nel vuoto che parla della sua sofferenza.



Agganciata a un pensiero, al ricordo di un dolore che la allontana dalla realtà. Anche per noi oggi il tormento è questo e ben difficilmente riusciremmo a identificarci con il dannato di Michelangelo. Invece, D'istinto entriamo in empatia con il dolore muto della donna immobile di Pellizza da Volpedo.

Articolo di Gaia Giorgietti


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