sabato 27 aprile 2024

Passeggiata fuori le mura (di Firenze)

E per finire la nostra passeggiata d'Aprile eccovi la pagina  di un libro "particolare"; una raccolta di ricordi d'infanzia dello scrittore-poeta G. Papini a cura della figlia Viola.





1965 edizione SEI-TORINO
 Il muro di gelsomini RICORDI DI FANCIULLEZZA di Giovanni Papini

Tutte le domeniche, a meno che non diluviasse, mio padre mi portava con sé in campagna.
Poco dopo il desinare del mezzogiorno, anche se la neve copriva il mondo o se la terra ribolliva sotto le vampe feroci del solleone, mio padre si metteva il cappello e mi chiamava. Si scendeva dal nostro ultimo piano nella strada deserta e via, di buon passo, verso una delle pietrose porte della città che si spalancavano, allora, verso il verde e il silenzio.


Non mi diceva mai dove si sarebbe andati quel giorno ma sapevo che mio padre sceglieva sempre i luoghi più solitari e selvatici; quelli che serbavano ancora, nonostante le tracce dell'uomo, alcunché di rustico, di selvoso e di primitivo. Non pensavo, allora, che mio padre fosse un poeta. 



Me ne accorsi molto tempo dopo, quando non c'era più, ed io ricordavo le sue fermate cogitabonde dinanzi all'improvviso aprirsi di una valle felice, di un prato selvaggiamente fiorito, di un borro scuro dove l'acqua scherzava e scrosciava tra i massi borraccinosi. Coglieva, qualche volta, una rosa di macchia o un papavero rosso e, dopo averli guardati un momento con i suoi melanconici occhi grigiazzurri, li porgeva a me, come un tacito insegnamento di ammirazione.



Di rado mi rivolgeva la parola ma rispondeva giovialmente ai saluti dei rari campagnoli che s'incontravano in quelle stadicciole fuor di mano. m'insegnava, però, i nomi dei fiori e degli alberi più comuni e qualche volta, specie di primavera, quando il cielo era più celeste e l'aria più dolce, si soffermava per recitarmi, con la sua bella voce di cantante mancato, certi versi di Dante e di Foscolo, che non sempre capivo ma che non ho mai dimenticato.



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