giovedì 21 novembre 2019
Vi propongo una pagina di: ELSA E L'ULTIMO UOMO
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Stava lontano, Lisetta, una casa i fondo a via Padova, lontana dalla strada, con prati spelacchiati intorno.
Lisetta era una ragazza graziosa, anche se doveva avere più di trentacinque anni. Dopo due minuti che la si guardava, però, dava una senzazione inquietante, a Tomaso pareva una morte che camminasse e parlasse. Lo sguardo non era vivo, e la voce neppure.
Pareva una che non provasse mai qualche sentimento e forse non lo provava davvero, di nessun genere. A starle vicino, Tomaso pensava qualche volta alle bisce.
Era laureata in legge e ufficialmente figurava come traduttrice, di chi sa che cosa, in realtà era un rifugio per gli uomini di Marcello, e la consulente legale. Per ogni impresa, Marcello sapeva prima, da lei, l'articolo preciso del codice che stava per trasgredire, gli anni di condanna che potevano avere i suoi uomini e il modo di averne di meno.
Non era chiaro perché una donna delle sue capacità fosse finita per fare il tirapiedi a Marcello, ma nessuno se ne interessava. Così nessuno aveva mai tentato il minimo approccio con lei; per quanto fosse graziosa e ben fatta non ispirava niente, anzi.
Vi erano stati anche degli ubriachi, in quella casa, e ragazzi che non avevano rispetto di niente, ma lei l'avevano lasciata stare, e al massimo le dicevano qualche pesante frase di scherzo.
La villetta era fredda come la sua proprietaria, vi erano appena i mobili necessari e aveva più l'aria di una sale d'aspetto della mutua, che di una casa privata. non c'era un quadro, una stampa, un calendario appeso alle pareti. I mobili sembravano quelli di un ospizio di trovatelli, squallidi, impersonali, uguali agli squallidi, impersonali abitini grigi che portava sempre Lisetta.
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DA ELSA E L'ULTIMO UOMO
di Giorgio Scerbanenco 1958
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