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La cosa che profondamente unisce l'Italia, più che nei motivi elencati con generoso ottimismo da Alessandro Manzoni ( "una d'arme, di lingua, d'altare, / di memorie, di sangue, di cor" ) sta in un antico rito meridiano che si ripete tutti i giorni, uno scatto simultaneo, quasi fosse comandato da un invisibile regista, di milioni di mariti che all'insaputa l'uno dell'altro, telefonano alla moglie: sto arrivando, cala la pasta.
Con buona pace di don Lisander, nella nostra storia vedo poca unità d'arme, molta propensione al fratricidio, caleidoscopica mescolanza di sangui foresti, dialetti fieramente incomprensibili, scarsa comunanza di memorie e di sentimenti, avendo ogni regione l'orgoglio d'una piccola patria, ogni città una storia gelosamente, golosamente municipale.
Diceva Ennio Flaiano che il nostro, più che un popolo, è una collezione.
Ma quando scocca l'ora del pranzo, seduti davanti a un piatto di spaghetti, gli abitanti della Penisola si riconoscono italiani come d'oltre Manica, all'ora del tè, si riconoscono inglesi.
Neanche il servizio militare, neanche il suffragio universale (non parliamo del dovere fiscale) esercitano un eguale potere unificante.
L'unità d'Italia, sognata dai padri del risorgimento, oggi si chiama pastasciutta; per essa non si è versato sangue, ma molta pummarola.
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da QUANDO SIAMO A TAVOLA
Viaggio sentimentale con l'acquolina in bocca da Omero al fast-food
di Cesare Marchi edito dalla RIZZOLI nel 1990.
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