lunedì 12 giugno 2023

Conosciamo il "cuore" di un autore I°

 Gustave Flaubert a Luisa Colet

                                                                       4 agosto 1846 martedì sera (mezzanotte)

Dodici ore fa eravamo ancora insieme? Come sono già lontane! La notte è ora calda e dolce: odo sotto la mia finestra fremere il vento il gran tulipiero e quando levo gli occhi vedo la luna che si specchia nel fiume. eccomi qui, ben chiuso e tutto solo, intento a riordinare ciò che tu mi hai dato; le due lettere sono nella borsetta ricamata, appena avrò finito questa mia mi affretterò a rileggerle.


Non ho voluto scrivere con la mia solita carta da lutto: vorrei che da me non ti giungesse mai nulla di triste, vorrei non procurarti che gioia e circondarti di una felicità calma e continua per compensarti un po' di tutto quello che mi hai dato a piene mani, con la generosità del tuo amore.. Ho paura di esser freddo, arido, egoista, e Dio solo sa invece quel che in questo momento s'agita in me. quanti ricordi e quanto desiderio! Ah le nostre belle passeggiate in vettura, la seconda soprattutto con il guizzar dei lampi! Ricordo la tinta degli alberi accesi dal riverbero dei fanali e il dondolio delle molle: eravamo soli e felici. Contemplavo il tuo volto nell'ombra e lo vedevo attraverso le tenebre: gli occhi t'illuminavano tutta la faccia.



Sento che scrivo male e che tu leggerai freddamente queste righe: non riesco a dir nulla di tutto quel che vorrei. Le mie frasi si urtano come in un respirare affannoso: bisognerebbe colmare l'intervallo fra l'una e l'altra e tu lo farai, non è vero?



Mia madre mi aspettava alla stazione: ha pianto vedendomi arrivare come tu avevi pianto vedendomi partire. La nostra miseria è così grande che non è possibile allontanarci da un luogo a un altro senza far piangere in tutt'e due! Questo è cupamente grottesco.



Ho ritrovato qui le zolle verdi, gli alberi eretti, l'acqua gorgogliante come quando ero partito. I libri sono ancora aperti alla stessa pagina, nulla è cambiato. La natura esteriore con la sua desolante serenità ci fa vergognare del nostro orgoglio, Non importa, non pensiamo nè all'avvenire, nè a noi, nè a niente. Pensare è soffrire. abbandoniamoci al vento del nostro cuore finché esso gonfierà la vela, lasciamo che ci spinga dove vorrà e quanto agli scogli... tanto peggio se ci saranno. Basta, vedremo. Addio, addio.

da Lettere d'amore dell'800 francese "1964"



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