Ogni notte la barriera della foresta sembrava farsi un po' più alta, un po' più vicina; sembra che lentamente ma inesorabilmente si serrasse intorno a me; finché venne una notte in cui non potei resistere più e balzai dall'amaca tremando e sudando, deciso ad evadere da quella prigione, in qualche modo... scendendo il fiume in una canoa o addentrandomi nella foresta... ma fosse pur quella l'ultima cosa ch'io facevo, dovevo spezzar l'incubo che m'imprigionava, evadere al calore, alla polvere, all'inezia di quel carcere in cui ero prigioniero...
Ma non evasi. Non scesi il fiume, né penetrai nella foresta. Il giorno seguente e l'altro, e l'altro ancora giacqui nella mia amaca, sedetti con le carte nella capanna del personale, contemplai le nubi di polvere che si alzavano intorno e ascoltai gli insetti ronzanti in quella inanimata fornace gialla ardente in cui si era trasformata la radura.
Un giorno, verso le ore meridiane, mi parve che il ronzio crescesse d'intensità. Divenne un rombo, poi un ruggito, com'era accaduto così spesso nei miei sogni, colla differenza che questa volta non era un sogno, non dileguava, ma cresceva e rintronava finché la piccola capanna quasi vibrava al suono famigliare ma ormai mezzo dimenticato. Lo stesso istante udii gridare un caboclo e lasciando cadere le carte, corsi fuori.
Guardando in alto vidi l'apparecchio.
Da Il fiume del Sole di J.R. Ullman
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